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Sono già passati 5 anni da quel brutto giorno: il 20 aprile 2010, quando un’esplosione, oltre a uccidere 11 persone, causò la fuoriuscita di petrolio più grande di tutti i tempi. E grazie alla Deepwater Horizon, una marea nera invase il Golfo del Messico colpendo le coste della Louisiana e della Florida. Uno sversamento interrotto solo dopo 106 lunghissimi giorni. Che, essendo stato così massiccio, ha effetti devastanti sugli ecosistemi locali ancora oggi (guardate cosa è successo a quest’isola, che il National Geographic definisce come ormai “disintegrata”).

Gran parte delle oltre 500mila tonnellate di petrolio riversate in acqua si sono depositate sui fondali, da dove hanno continuato negli anni ad avvelenare gli ecosistemi marini. E pensare che c’è ancora chi parla di trivellare l’intero Adriatico, per illudere le persone di sbloccare l’Italia. “C’è ancora, anche fra i nostri governanti, chi sostiene che le estrazioni di petrolio in mare siano sicure e rappresentino solo una fonte di ricchezza, occupazione, progresso”, dichiara Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia: “Con il decreto Sblocca Italia, contro la cui conversione in legge pende il ricorso di 7 Regioni presso la Corte Costituzionale, il governo Renzi ha spalancato le porte dei nostri mari ai petrolieri. Il decreto rappresenta un piano di sfruttamento intensivo delle risorse di idrocarburi italiane che sono scarse e di pessima qualità”, ricorda Giannì. Non solo: “Nel Mediterraneo già oggi si riscontra la più alta concentrazione di idrocarburi al mondo (38 milligrammi per metro cubo) e si concentra il 20% del traffico mondiale di idrocarburi, oltre 8 milioni di barili al giorno”.

Del resto, il fossile Renzi ce lo ha ricordato anche negli scorsi giorni: per lui gli Usa sono un modello di crescita. Non importa come, e non importa a quale costo. Tanto vale crearsi un piccolo Golfo del Messico anche in casa propria, no?

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