Produzione, consumo, economia. Ormai sembrano le uniche cose importanti per la specie umana. Tanto che se ne vedono i risultati, soprattutto a livello di impatto sulla natura. Che, di questa economia, permette l’esistenza. Un’iperattività, quella umana, che porta la nostra specie ad essere più impattante per il pianeta che ci ospita dei cambiamenti geomorfologici.
Per le attività noi esseri umani spostiamo ogni anno tra i 50 e i 60 miliardi di tonnellate di rocce, sabbia, ghiaia. Un po’ alla volta, in pratica, stiamo letteralmente smottando il pianeta. E ad un ritmo spaventoso: queste quantità di materia, infatti, equivalgono al doppio di quella eruttata dai vulcani oceanici, al triplo di quella portata al mare da tutti i fiumi del mondo, al quadruplo di quella che sposta la formazione di montagne, a dodici volte quella trascinata dai ghiacciai e a sessanta volte quella dovuta all’erosione eolica.
A rivelarlo è Aldo Femia, primo ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) in articolo sul sito Materia Rinnovabile. Che, per la prima volta, offre un nuovo punto di vista nel calcolo di quanto le nostre economie della crescita consumino, quando si tratta di produrre energia, cibo, o di gestione del territorio.
Un terzo circa di questi miliardi di terra sono spostati “volontariamente” per il prelievo di minerali. La loro destinazione è l’industria metallifera. Gli altri due terzi vanno invece in altri tipi di industrie e nelle costruzioni. “Persino maggiore è lo spostamento di terra involontario, ma comunque dovuto all’azione umana, e in particolare all’erosione indotta dalle pratiche agricole: 80 miliardi di tonnellate”, scrive Femia, che aggiunge: “La nostra sete di combustibili fossili comporta poi il prelievo annuo di circa 45 miliardi di tonnellate di materia dormiente in natura, di cui 14 miliardi sono i combustibili effettivamente utilizzati. L’appropriazione umana di biomasse è arrivata invece a 27 miliardi di tonnellate di cui 5,5 miliardi non utilizzati”.
Nei processi di produzione e consumo questi materiali vengono raffinati, combinati tra loro, mescolati con l’acqua e gli elementi atmosferici, spiega Aldo Femia: “Il consumo di acqua a livello globale è stato quantificato: siamo ad almeno 4.000 km cubici. Quanto agli input dall’atmosfera, si può stimare in almeno una trentina di miliardi di tonnellate la quantità di ossigeno, azoto e altri elementi prelevati”.
Al di là degli enormi squilibri che tutto ciò provoca nei diversi ecosistemi, però, la cosa più assurda è che la maggior parte di questa materia verrà sprecata per trasformarsi in rifiuto! Scarto che finirà perlopiù incenerito, sotterrato, ma anche e soprattutto nella nostra più grande discarica: l’atmosfera, in cui annualmente rilasciamo ben 36 miliardi di tonnellate di CO2, con tutto ciò che ne consegue.
Vi sembra possibile che un sistema di questo tipo possa reggere ancora per molto? No, non lo è. E prima che a rimetterci sia ogni forma di vita su questo pianeta (inclusa la nostra) è urgente seguire un nuovo modello di sviluppo. Queste enormi quantità di materia spostata o letteralmente consumata tracciano “il perimetro materiale del nostro rapporto con la natura”, scrive Amia. Fate un po’ voi le vostre considerazioni.