Se si vuole raddoppiare la produzione di cibo nel mondo, bisogna tornare all’agricoltura contadina e ai piccoli produttori. Questo è il messaggio, semplice e chiaro, della piccola e semi-sconosciuta Grain, organizzazione non-profit che lavora per sostenere i piccoli agricoltori e i movimenti sociali nelle loro lotte per i sistemi alimentari basati sulla biodiversità e le comunità locali.
Secondo la FAO, nel mondo le famiglie di agricoltori gestiscono tra il 70 e l’80% delle terre agricole e producono l’80% del cibo. Eppure, queste persone sono costrette a interrompere la loro preziosa attività, e addirittura a lasciare le loro stesse terre per far posto a un’agricoltura devastante portata avanti con la scusa di “sfamare il mondo”.
Un po’ come Expo, che vuole “nutrire il pianeta” avendo come sponsor principali McDonald’s e Coca Cola.
Che si sia in Kenya, Brasile, Cina o Spagna, “le popolazioni rurali vengono emarginate e minacciate, sfollate, picchiate e persino uccise da una varietà di potenti attori che vogliono la loro terra”. Questa grave rivelazione è data da l’Ecologist, che ha recentemente diffuso uno studio dell’Ong Grain in cui si spiega come i piccoli contadini sfamino veramente il pianeta, usando meno di un quarto delle terre coltivabili di tutto il pianeta.
Le comunità rurali stanno avendo sempre meno accesso alla terra per diversi fattori, puntualizza lo studio. Uno è ad esempio quello della crescente pressione demografica, che vede le già piccole aziende agricole spezzettarsi per essere spesso divise fra i numerosi componenti di una stessa famiglia. Un altro fattore, molto più importante e impattante, è il vertiginoso espandersi delle monocolture.
“Negli ultimi 50 anni, l’incredibile cifra di 140 milioni di ettari – la dimensione di quasi tutti i terreni agricoli in India – è stata rilevata da quattro colture industriali: soia, olio di palma, colza e canna da zucchero”, scrive l’Ecologist: “E questa tendenza sta accelerando”.
Nei prossimi decenni, infatti, si prevede che l’area globale coltivata a olio di palma raddoppierà, mentre quella delle coltivazioni di soia crescerà di un terzo. Colture completamente inutili ai fini dell’alimentazione umana, utili invece solo a tenere in piedi il devastante complesso agroindustriale globale.
Il paradosso, è che stando ai dati esaminati da Grain in tutto il mondo, sono proprio i piccoli produttori agricoli a “nutrire il pianeta”, e lo stanno facendo con appena il 24% dei terreni agricoli del mondo – o il 17% se si lasciano fuori dai calcoli Cina e India.
Secondo i calcoli, se i rendimenti raggiunti dai piccoli agricoltori in Kenya fossero nuovamente adottati su larga scala, la produzione agricola del paese raddoppierebbe. In America centrale, la produzione alimentare triplicherebbe, mentre in Russia la produttività sarebbe di sei volte superiore.
La prossima volta che sentite qualche esperto o qualche agenzia dell’Onu intonare il ritornello della necessità di raddoppiare la produzione di cibo nel mondo, di sconfiggere la fame, di necessità di liberalizzare i mercati, adottare nuove tecnologie o addirittura gli Ogm per garantire a tutti un equo accesso al cibo, mandateli a quel paese da parte mia!
Di cialtroni impegnati solo a difendere i propri interessi, oltre che di quelli corporativi che stanno dietro di loro, non abbiamo più bisogno. Ciò che serve, invece, è ridare ai legittimi proprietari le loro terre: i piccoli contadini. Il tutto attivando politiche a loro sostegno, e una riforma agraria che porti ad un vero progresso.
E attenzione, perché questo è un problema che non riguarda solo il sud del mondo. Riguarda anche i paesi che si credono civili e avanzati. A partire dal nostro.