In questi giorni ho avuto modo di confrontarmi con ricercatori e studiosi nell’ambito sanitario ed ambientale su un tema che non ha ancora ricevuto tutta l’attenzione che merita: il rapporto tra i drammatici effetti del coronavirus e l’inquinamento dell’aria.
Ho avuto modo di parlare con il Dott. Antonio Frontera, ricercatore del San Raffaele ed autore di una recente pubblicazione che rilancia il tema della stretta correlazione tra coronavirus ed inquinamento.
In particolare il loro studio supporta l’ipotesi prima suggerita dalla SIMA che l’inquinamento da particolato (PM2.5 in particolare) agirebbe da vettore (carrier) del contagio, facilitandolo. Questa ipotesi, bollata da alcuni come priva di alcuna plausibilità biologica, è in realtà oggetto di studio. Una recente pubblicazione sulla rivista The New England Journal of Medicine ha concluso che “la trasmissione via aerosol e superfici contaminate di SARS-CoV-2 è plausibile poiché il virus può rimanere vitale e infettivo per ore negli aerosol e per giorni sulle superfici”.
Ecco le domande che ho posto al Dott. Frontera:
MB: La vostra comunicazione va ad aggiungersi alle recenti pubblicazioni scientifiche che confermano lo stretto legame tra diffusione del coronavirus ed inquinamento dell’aria. Che cosa aggiunge di nuovo il vostro lavoro?
AF: Anche il nostro lavoro conferma il ruolo dell’inquinamento da PM 2.5 nel favorire la diffusione ma aggiungiamo anche che il virus a livello mondiale si è diffuso e ha creato piu “danni” laddove vi erano specifiche caratteristiche orografiche del territorio. Guardiamo la pianura padana: è dove in Italia abbiamo avuto la maggior diffusione e la maggior mortalità da COVID-19. Questa regione è circondata da un arco alpino a nord, dall’appennino ligure a sud e ad est è tutta una valle pianeggiante. Il fenomeno dell’inversione termica è purtroppo non favorisce un “corretto” ricambio d’aria. Se poi aggiungiamo che non piove, non vi è vento.. si è creato un clima favorevole per una aria “avvelenata”.
MB: Nel vostro articolo pubblicato sul Journal of infections dite che il problema non è solo l’alto livello di inquinamento delle aree più colpite dal coronavirus, ma anche il ristagno degli inquinanti dovuto a condizioni topografiche e climatiche. Questo vale solo nel caso della Pianura Padana o ci sono altri esempi?
AF: In Italia un altro esempio è data dalla Valserra nel Comune di Terni. Li i siti industriali creano elevate concentrazioni di PM 2.5 e NO2 che “ristagnano” cosi come in pianura padana. Per fortuna pero’, la regione è più piovosa rispetto alla pianura padana e quindi risulta “meno letale”. In Italia per fortuna non abbiamo altre regioni simili. In Europa invece abbiamo il Belgio e metà Olanda affette dallo stesso problema della pianura padana. Si consideri che li le regioni sono 5 -10 metri sotto il livello del mare. Si salvano, un po’, per la loro posizione geografica e pertanto più esposte a pioggia (perturbazioni nordiche).
MB: Nell’articolo supportate l’ipotesi che il particolato funga da vettore (carrier) dei virus consentendoli una maggiore diffusione tramite un canale “indiretto” rispetto a quello da persona a persona (diretto). Quali sono le evidenze di cui disponiamo attualmente che proverebbero questo fenomeno?
AF: Oltre all’articolo che citavi, esiste un articolo di ricercatori cinesi (in era pre COVID-19) che ha analizzato il particolato prelevato in aree industriali. Bene, loro documentavano come il 3.8% del particolato fosse caratterizzato da particelle virali.
MB: L’effetto indiretto di trasporto del virus, svolto dall’inquinamento, è sufficiente a spiegare perchè il virus abbia colpito così duramente alcune aree del nord Italia e molto meno altre parti del nostro Paese?
AF: Questa è la nostra ipotesi. Accanto ad una trasmissione paziente – paziente che comunque rappresenta la maggior parte dei contagi, noi ipotizziamo che esiste anche un modo “indiretta”, ossia pensiamo che esista una possibilità di contagio per “ sospensione “ delle particelle virali in aria (grazie al particolato) che è maggiore in pianura padana che ad esempio nelle montagne della Sila.
MB: Come si può differenziare tra l’effetto inquinamento e invece l’esito del lockdown che ha rallentato il contagio diretto?
AF: E’ difficile rispondere a questa domanda. Sicuramente il lockdown ha permesso alle nostre terapia intensive di respirare. Bisogna investigare e ricercare di piu.
MB: L’effetto indiretto può essere una concausa anche in altre aree, in Italia o nel mondo, in cui il COVID-19 sta facendo maggiori danni? Se si, in quali zone?
AF: Sicuramente l’intera area metropolitana di New York, Belgio, Olanda, Inghilterra, (insieme alla pianura padana) sono e saranno le maggior regioni mondiali dove il COVID-19 troverà ampio spazio con alta mortalità
MB: Ci sono zone del nostro Paese caratterizzate da livelli di inquinamento paragonabili a quelli della Pianura Padana. Eppure il virus non si è diffuso allo stesso modo o perlomeno non ha causato lo stesso numero di ricoveri in terapia intensiva e morti. Cosa spiega questa differenza?
AF: Come detto prima, noi siamo convinti che queste regioni sono piu esposte a vento, pioggia che insieme alle caratteristiche orografiche permettono una “dispersione” del particolato e del NO2. Siamo i primi a dire e a sottolineare questo aspetto.
MB: Nonostante il lockdown, i valori di particolato, seppure ridotti si sono mantenuti più altri di quanto ci si poteva aspettare. Come mai?
AF: Non saprei rispondere. Sicuramente il clima e le caratteristiche del territorio hanno dato il maggior contributo.
MB: Come giudica il fatto che mentre il settore industriale e il traffico veicolare siano stati fortemente limitati dal lockdown, una delle fonti non certamente trascurabili del particolato secondario, lo spandimento dei liquami zootecnici, sia stato autorizzato per esempio in regione Lombardia?
AF: Non saprei rispondere. Ho letto di alti valori di ammoniaca rilasciati dai liquami zootecnici che possono contribuire.