Oggi è stata pubblicata la tanto attesa Enciclica del Papa sulle devastazioni dell’uomo sulla sua Madre Terra: “Laudato sii”, 192 pagine e 246 capitoli sulla necessità di proteggere l’ambiente, e con esso i diritti dei più poveri del pianeta.
Ora sarebbe facile fare polemica, chiedendosi se questa apparente strumentalizzazione di San Francesco, percepito ormai più come un figlio dei fiori che come un santo, non caschi a fagiolo in questo momento di perdita costante di fedeli. Ma non penso che serva a molto, in questo caso.
Serve invece concentrarsi sul messaggio di questa Enciclica, piena di spunti di riflessione importanti sulla salute del pianeta e dell’umanità che dovrebbero tutti cogliere, al di là del nostro credo o colore politico.
Del resto, sempre più persone stanno prendendo coscienza del fatto che, all’interno di un cammino spirituale, il rapporto con il Sacro non è costituito solo dalla cura dell’interiorità, ma anche dal rapporto con l’intera umanità e l’ambiente circostante.
Siamo all’interno di un cambiamento costante e inarrestabile che riporta in auge proprio i valori che pare costituiscono i temi dell’Enciclica, il cui titolo richiama all’ancora attuale “Cantico delle creature”. Sto parlando di quel “misticismo dei semplici” di origine francescana in cui l’essere umano si inserisce in un contesto universale dove trovano posto, allo stesso livello di utilità e importanza, creature viventi ed elementi naturali – indispensabili gli uni agli altri.
Per esempio, nell’Enciclica pubblicata oggi si fa presente che “i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali, che non sempre possono adattarsi”, il che intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli.
Un’importante visione d’insieme, quella del Pontefice, che non hanno invece molti sedicenti cattolici, magari ex boyscout innamorati di trivelle e combustibili fossili. “È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa”, scrive il Papa. E noi in Italia ne sappiamo qualcosa.
“Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della Terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni”, scrive Francesco: “A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale”.
E ancora: “In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso”.
Mi fa decisamente piacere che anche la Chiesa Cattolica inizi a vedere cosa succede davvero nel mondo. Con i suoi messaggi essa può influenzare circa il 14% della popolazione mondiale. Trovo quindi molto utile che inizi a parlare di cambiamenti climatici, ambiente e sovra-sfruttamento delle risorse, invece che di divieto del preservativo.
Anche la Chiesa ha capito che occorre agire e agire in fretta, dato che ogni ritardo aumenta la quantità di CO2 emessa in atmosfera e consuma, irrimediabilmente, il budget emissivo rimanente per mantenere l’aumento di temperatura medio sotto i due gradi centigradi.
È indispensabile ridurre le emissioni, anche modificando il nostro stile di vita e in particolare i consumi alimentari. La produzione di cibo, infatti, incide globalmente per circa il 30% sulle emissioni totali di gas serra ed è caratterizzata da elevatissimi sprechi (1/3 del cibo è gettato) e da una distribuzione fortemente iniqua.
Vorrei soffermarmi in particolare sul consumo di carni e di prodotti di origine animale. L’allevamento contribuisce in maniera determinante al cambiamento climatico, incidendo (secondo la FAO) per il 14,5% delle emissioni globali. L’allevamento è la fonte principale globale di metano e ossido di diazoto (N2O), due potenti gas a effetto serra. Oltre a questo, l’allevamento contribuisce in maniera determinante al consumo di risorse alimentari, acqua, suolo e a fenomeni come la deforestazione e la perdita di biodiversità.
Il consumo di alimenti di origine animale è in costante crescita globale, specialmente in economie emergenti come Cina e Brasile. Entro il 2050 il consumo di carne e di latte e derivati dovrebbe crescere rispettivamente del 76% e 65% rispetto al periodo 2005-2007. La crescita dei consumi aumenta sempre di più la pressione sulle limitate risorse planetarie e rischia di rendere praticamente impossibile stabilizzare l’innalzamento della temperatura a massimo due gradi, oltre che sfamare l’intera popolazione della Terra.
I Vescovi della Nuova Zelanda, spiega Papa Francesco nella sua Enciclica, si sono chiesti che cosa significhi il comandamento “non uccidere”, quando “un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere”.
E noi, ce lo siamo mai chiesti per davvero?