Dodici tra le più importanti nazioni di Asia, Oceania e Americhe hanno raggiunto l’intesa sull’accordo di liberalizzazione del commercio internazionale, il Trans-Pacific Partnership (TPP), uno dei maggiori accordi al mondo che stabilisce nuove regole comuni sugli standard in materia di diritto del lavoro, proprietà intellettuale e libertà di azione delle multinazionali.
I firmatari – Stati Uniti, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam – rappresentano il 40% dell’economia mondiale e includono la prima e la terza economia del pianeta, coinvolgendo tre continenti e interessando un mercato potenziale di oltre 800 milioni di persone.
Un affaire non da poco. Forse secondo solo al famigerato TTIP, il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti che interessa anche l’Europa e l’Italia e che dopo questa firma rischia di avere un’evitabile accelerata.
Ma vediamo di cosa si tratta e perché ci dovrebbe interessare parecchio. Il TPP è un patto multilaterale di libero scambio che prevede l’imposizione di nuove regole commerciali a livello mondiale accelerando il processo di liberalizzazioni commerciali e generando svantaggi competitivi su vari mercati internazionali. Anche le imprese italiane quindi ne risentirebbero parecchio. Il patto eliminerà , infatti, più di 18mila tasse e oneri che vari Paesi impongono sui prodotti Made in Usa. Senza questi oneri i prodotti americani sarebbero più competitivi rispetto ai prodotti degli Stati che ancora non hanno sottoscritto il patto. Per esempio noi.
Ma non è solo questione di competitività . Il TPP stabilisce anche nuove regole comuni sugli standard in materia di diritto del lavoro, proprietà intellettuale e libertà di azione delle multinazionali. Con buona pace degli interessi degli individui, dell’ambiente e della sovranità dei singoli Stati.
In molti sottolineano infine la pericolosità della clausola che permetterebbe agli investitori e alle imprese stranieri di fare causa allo Stato ospitante qualora ritenesse che i profitti aziendali siano strozzati da una legge in vigore nel paese che li ospita (come per il trattato transatlantico TTIP). Così facendo tribunali privati verrebbero utilizzati a uso e servizio delle grandi aziende multinazionali.
L’iter del TPP prevede ora due anni di esami per la ratifica in almeno sei paesi, che contano per circa l’85% del PIL dei 12 membri firmatari del patto commerciale. Perché il trattato sia implementato, i sei stati, tra cui Giappone, Australia e Usa, dovranno approvare con un voto parlamentare il testo finale appena firmato.
C’è ancora tempo per opporsi a questo tragico accordo che, anche se non ci riguarda nell’immediato, avrà sicuramente tragici risvolti anche per la nostra economia, la nostra salute e il nostro Paese.