Malgrado la superficialità con cui in molti hanno affrontato la questione olio di palma – facendola scivolare come spesso accade a puro scontro mediatico e fazioso – personalmente ritengo che l’argomento meriti ben altro trattamento, avendo risvolti concreti sul nostro pianeta, sulla nostra salute e sulla vita di tanti esseri viventi, umani e animali. Per questo ho deciso di continuare ad approfondirne gli aspetti cruciali inerenti la produzione e il consumo dell’olio di palma, a indagare le alternative, le criticità e le possibili soluzioni.
Oggi mi vorrei occupare di questioni legate al consumo di prodotti che contengono olio di palma. Da diversi studi viene da anni esplicitata la connessione tra malattie cardiovascolari, cardiache, aterosclerosi, diabete e questa sostanza. In particolare i punti critici sarebbero 3:
- Acido palmitico. Presente in una percentuale di circa il 44% nell’olio di palma, ad esso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) attribuisce effetti aterogeni ed ipercolesterolemizzanti, tali da aumentare il rischio cardiovascolare. Lo stesso rischio viene evidenziato dal Center for Science in the Public Interest (CSPI) , mentre l’American Heart Association conferma che l’olio di palma è tra i grassi saturi di cui si consiglia maggiormente di limitarne l’uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo. Sul fronte italiano, uno studio condotto dal professore Francesco Giorgino e dal suo gruppo di ricerca dell’Università di Bari, con la collaborazione delle Università di Pisa e di Padova e pubblicato recentemente sulla famosa rivista medica Diabetologia, ha valutato gli effetti dell’acido palmitico sulla proteina «p66shc» che è all’origine del diabete alimentare. Lo stesso Prof. Giorgino ha dichiarato che l’acido palmitico “[…] agisce promuovendo la formazione di specie reattive dell’ossigeno che sono in grado di danneggiare e uccidere le cellule, promuove l’iperglicemia nel diabete e un aumento della produzione dei fattori coinvolti nell’infiammazione”.
- Grassi saturi. A causa dell’invasione dell’olio di palma nei prodotti alimentari e dei suoi rischi, l’Agenzia francese per la sicurezza alimentare ha, inoltre, pubblicato un dossier sul problema dei grassi saturi, ripreso nel 2013 dal Consiglio superiore della salute del Belgio, nel cui testo c’è scritto “il consumo eccessivo può avere effetti negativi sulla salute e aumentare il rischio cardiovascolari” e invita i consumatori a preferire i prodotti che contengano pochi acidi grassi saturi aterogeni (ossia quelli contenuti nell’olio di palma in percentuali elevate).
- Contaminanti tossici. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha recentemente pubblicato i rischi per la salute pubblica derivanti dai contaminati glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) presenti negli oli vegetali lavorati e, in particolar modo, nell’olio di palma. Tra questi il GE è stato valutato dal gruppo CONTAM (gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare) genotossico e cancerogeno, per cui non è possibile stabilirne alcuna soglia di sicurezza. (TDI; tolerable daily intake).
A fronte di tutte queste informazioni mi sono rivolto al nostro Istituto Superiore di Sanità – che già in passato si era espresso sull’argomento, evidenziando le conseguenze negative per l’organismo di un’assunzione eccessiva di prodotti contenenti olio di palma – per avere un parere aggiornato in merito.
Ecco le risposte alle mie domande…
L’EFSA individua per alcuni contaminanti nell’olio di palma degli effetti tossici per la riproduzione? Quali sono questi effetti?
Nel maggio 2016 EFSA ha pubblicato un parere molto articolato su alcune sostanze si formano quando gli oli vegetali vengono portati, durante il processo di raffinazione, a temperature superiori ai 200° C. Questi prodotti indesiderati (definiti “contaminanti di processo”) si formano a queste temperature, in tutti i principali oli e grassi ad uso alimentare; tuttavia nell’olio di palma si riscontrano livelli più elevati, in conseguenza della sua composizione di acidi grassi.
Per uno dei principali contaminanti, il 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), sono disponibili numerosi studi tossicologici sperimentali sui roditori che indicano fra gli effetti tossici principali l’inibizione della fertilità maschile e l’induzione di tumori benigni a carico di tessuti riproduttivi (mammella e testicolo). Gli effetti sulla fertilità, in particolare, sono stati considerati per definire una dose massima tollerabile di 0,8 microgrammi per Kg di peso corporeo (cioè 0,05 milligrammi totali in una persona di 60 kg) per il 3-MCPD. Sulla base dei dati disponibili, il 3-MCPD può essere definito una sostanza tossica per la riproduzione. Per un altro contaminante dei grassi con caratteristiche chimiche simili, il 2-MCPD, i dati sono del tutto insufficienti per una valutazione.
Si parla di interferenti endocrini: possono rientrarci anche questi contaminanti? Per quali motivi?
Gli interferenti sono sostanze che causano effetti avversi sulla salute alterando l’equilibrio ormonale (v. l’area tematica nel sito dell’ISS) ; la salute riproduttiva è uno dei loro principali bersagli. Per quanto riguarda il 3-MCPD, l’inibizione della fertilità maschile appare dovuta ad un effetto diretto sulla vitalità dello spermatozoo, non associato ad alterazioni ormonali. Per contro, gli aumenti di tumori benigni alla mammella e al testicolo potrebbero suggerire un effetto endocrino; tuttavia il meccanismo di tali tumori indotti nei roditori e la reale rilevanza per la nostra salute vanno ancora chiariti.
A parte i risultati degli studi sperimentali, secondo EFSA c’è effettivamente un possibile rischio endocrino-riproduttivo?
Come abbiamo visto, il 3.MCPD è chiaramente una sostanza tossica per la riproduzione, mentre è dubbio che possa essere considerato un interferente endocrini. Un’assunzione al di sotto della dose tollerabile giornaliera protegge dai possibili effetti negativi sulla fertilità: secondo la valutazione EFSA, i dati disponibili sull’assunzione di 3-MCPD attraverso il consumo di grassi alimentari indicano un superamento di tale dose per bambini e adolescenti ed anche per i forti consumatori nella fascia adulta. I dati EFSA indicano anche che i livelli di 3-MCPD negli oli vegetali sono rimasti sostanzialmente invariati negli ultimi cinque anni e che l’olio di palma contribuisce in maniera rilevante all’esposizione a 3-MCPD nella maggior parte dei soggetti. Questo è dovuto sia ai livelli di presenza del contaminante sia all’uso diffuso negli alimenti.
Come sappiamo, la definizione della dose tollerabile giornaliera e la valutazione dell’assunzione dei contaminanti vengono effettuate secondo una “filosofia” decisamente cautelativa per il consumatore: quindi l’indicazione di un superamento della dose tollerabile non indica automaticamente che siamo qui ed ora a rischio di un effetto tossico. Certamente, però, i risultati della valutazione di EFSA danno un chiaro segnale agli Enti responsabili della gestione della sicurezza alimentare, sia nella Commissione europea sia negli Stati membri, ed anche alle industrie alimentari, sulla necessità di ridurre al livello di sicurezza la presenza di 3-MCPD nei grassi alimentari.
Riguardo ai possibili effetti negativi dal punto di vista nutrizionale, l’ISS ha redatto nei primi mesi del 2016 un parere sugli effetti sulla salute dell’uso dell’olio di palma con ingrediente alimentare,.
La criticità dell’olio di palma nella dieta consiste nella sua composizione in acidi grassi saturi, maggiore rispetto ad altri oli vegetali che possono essere usati al posto dello stesso olio di palma, nei prodotti trasformati industrialmente; l’olio di palma è composto per il 50% da acidi grassi saturi, mentre nell’olio di girasole questi acidi grassi rappresentano il 20%.
Le linee guida nazionali, europee e USA su una sana alimentazione raccomandano di mantenere il consumo di acidi grassi saturi al di sotto del 10% delle calorie totali giornaliere. Un consumo eccessivo di acidi grassi saturi può aumentare il rischio di eventi cardio-vascolari, soprattutto nei soggetti a rischio. Le stime sull’assunzione di acidi grassi saturi, riportati nel parere dell’ISS, indicano che i bambini tra i 3-10 anni superano la soglia raccomandata del 10%. Va comunque sottolineato che in una strategia di riduzione degli acidi grassi saturi, bisogna considerare tutte le fonti di apporto di questa classe di nutrienti, compresi gli alimenti di origine animale: latte, formaggi, uova, carne e non solo i prodotti industriali contenenti olio di palma.