0Shares
0 0

L’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile ha recentemente promosso una pubblicità, divulgata – oltre che sui canali commerciali Mediaset – anche sulle reti pubbliche Rai, contenente informazioni sull’olio di palma così detto “sostenibile” che tramite notizie parziali e distorte, ingannano il consumatore in modo da manipolarne scorrettamente l’opinione sulle proprietà e sulla natura di questo determinato prodotto.

In particolare, la pubblicità riporta, tra le altre, le seguenti affermazioni:

  • L’olio di palma è un olio di origine naturale che non presenta rischi per la salute;
  • La sua coltivazione sostenibile aiuta a rispettare la natura;

Tali affermazioni evidenziano la manifesta volontà dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile di fornire informazioni non completamente rispondenti al vero sull’olio di palma, tese a confondere il consumatore nella scelta dell’acquisto di prodotti alimentari che contengono questa sostanza, utilizzando in maniera ingannevole informazioni palesemente omissive e parziali, tali da suggestionare intenzionalmente il parametro di giudizio del potenziale consumatore.

A differenza di quanto presupposto dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile sono, infatti, innumerevoli le fonti che dimostrano come le proprietà dell’olio di palma sono già da tempo oggetto di ampi dibattiti che impegnano tutt’ora il mondo scientifico e quello delle associazioni ambientaliste e di settore. Tali studi mostrano gli effetti per la salute umana e sull’ambiente dell’olio di palma.

  • In merito agli effetti dell’olio di palma sulla salute umana:

I frutti della palma, in quanto deteriorabili, vengono sterilizzati tramite il vapore, poi snocciolati, cotti, pressati e filtrati. Successivamente, la fase di lavorazione prevede un processo di raffinazione (deodorazione, decolorazione e neutralizzazione che riduce l’acidità dell’olio), alla fine del quale il prodotto assume un colore bianco giallino ricco di grassi saturi, molto utilizzato nell’industria alimentare, specialmente in quella dolciaria.

Il fatto di scrivere “origine naturale” non è un segno distintivo specifico dell’olio di palma, perché tutti gli altri prodotti similari (burro, margarina, strutto, burro di arachidi, olio di mais, di oliva, di colza, di cotone, di ricino, di lino, di cocco, di noci, di canapa, di Jojoba, di girasole, di riso, di sesamo, di soia, di avocado, di mandorla, di nocciola, di argan,ecc) sono della medesima “origine naturale”. Nell’olio di palma si trova una concentrazione molto alta di olio palmitico, circa il 44%, a cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) attribuisce effetti aterogeni ed ipercolesterolemizzanti che aumentano il rischio cardiovascolare.

Allo stesso modo, il Center for Science in the Public Interest (CSPI) ha confermato che l’olio di palma aumenta i fattori di rischio cardiovascolare, poiché l’acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie.

Anche l’associazione no-profit americana American Heart Association ha confermato le conclusioni degli studi succitati, affermando che l’olio di palma è tra i grassi saturi quello di cui si consiglia maggiormente di limitarne l’uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo.

Sul fronte italiano, uno studio condotto dal professore Francesco Giorgino e dal suo gruppo di ricerca dell’Università di Bari, con la collaborazione delle Università di Pisa e di Padova e pubblicato recentemente sulla famosa rivista medica Diabetologia, ha valutato gli effetti dell’acido palmitico sulla proteina «p66shc» che è all’origine del diabete alimentare. In pratica, il metabolismo dell’olio in questione attiva la proteina p66Shc (la cui espressione è stimolata proprio dall’acido palmitico) che va a distruggere le cellule beta degli isolotti del Langherans nel pancreas dove viene sintetizzata l’insulina, l’importantissimo ormone che tiene sotto controllo la glicemia. Con la loro distruzione insorge la forma di diabete mellito insulino-dipendente.  Il danno è irreversibile.   Lo stesso Prof. Giorgino ha dichiarato che l’acido palmitico “[…] agisce promuovendo la formazione di specie reattive dell’ossigeno che sono in grado di danneggiare e uccidere le cellule, promuove l’iperglicemia nel diabete e un aumento della produzione dei fattori coinvolti nell’infiammazione”.

Sul fronte europeo, è degno di nota il fatto che, a causa dell’invasione dell’olio di palma nei prodotti alimentari, l’Agenzia francese per la sicurezza alimentare ha pubblicato un dossier sul problema dei grassi saturi, ripreso nel 2013 dal Consiglio superiore della salute del Belgio, nel cui testo c’è scritto “il consumo eccessivo può avere effetti negativi sulla salute e aumentare il rischio cardiovascolari” e invita i consumatori a preferire i prodotti che contengano pochi acidi grassi saturi aterogeni (ossia quelli contenuti nell’olio di palma in percentuali elevate).

Tali studi, anche se non esauriscono la vasta letteratura scientifica su questa tematica, rivelano un’elevata, quanto probabile, percentuale di rischio sulla salute umana causata dalla regolare assunzione di alimenti che contengono olio di palma, che non possono consentire all’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile di affermare nella pubblicità che l’olio di palma “non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata”. Si tratta, quindi, di un comportamento ingannatorio da parte dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile e delle aziende ad essa associate che, anteponendo l’interesse commerciale, tentano volontariamente di trarre in inganno l’ignaro consumatore, mettendone a rischio la salute.

  • In merito alla dichiarazione secondo cui l’olio di palma è rispettoso delle foreste e delle comunità locali

Da quanto si apprende dai risultati del Global Forest Watch del 2015, invece, l’80% della deforestazione nel mondo è attribuita all’impatto del sistema agricolo e, in questo senso, si stima che in Malesia e Indonesia il 90% delle coltivazioni siano riservate all’olio di palma.

Nel 2007 lo United Nations Environment Programme (UNEP) ha decretato, infatti, la coltivazione dell’olio di palma come la causa principale di distruzione delle foreste pluviali. Si stima che entro il 2020, le foreste indonesiane saranno definitivamente distrutte e con loro andranno perduti anche tutti quei servizi eco-sistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e della stessa biodiversità. Le ripercussioni anche a livello di cambiamenti climatici sono notevoli, con un incremento globale di emissioni di CO2 rilasciate nell’atmosfera. Le stime indicano che le emissioni causate dalla deforestazione in Indonesia siano attorno ai 200 milioni di tonnellate di carbonio ogni anno, ma secondo altre fonti potrebbero raggiungere i 400 milioni di tonnellate. Negli ultimi anni molti Enti e Associazioni hanno denunciato la scomparsa di centinaia di specie. Oranghi, tigri, rinoceronti, elefanti, oltre 1.500 specie di uccelli e migliaia di specie vegetali sono a rischio estinzione, poiché per impiantare le piantagioni di olio di palma il loro habitat naturale viene distrutto.

Allo stesso modo, è risaputo che alle comunità indigene impiegate nelle piantagioni di olio di palma non sono garantiti i diritti umani e le garanzie lavorative riconosciute nei Paesi Occidentali. Diverse sono state le denunce internazionali riguardo all’impiego di lavoro minorile, di manovalanza a basso costo, dell’assenza di misure di sicurezza per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’industria malese dell’olio di palma è stata denunciata dal Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti per l’utilizzo di lavoro minorile e lavoro forzato. Si stima l’impiego di circa 168 milioni di bambini e di 21 milioni di lavoratori forzati (la cifra si intende comprensiva anche per altri settori commerciali) che portano sul mercato globale prodotti di consumo quotidiano.

Le piantagioni di olio di palma di Malesia ed Indonesia sono la prima causa della inesorabile deforestazione di questi territori.  Negli ultimi anni le associazioni ambientaliste e animaliste, e il mondo scientifico, anche con il supporto dei media, stanno facendo conoscere al mondo la tragedia patita dai grandi mammiferi che vivono in quelle zone, (soprattutto oranghi, tigri ed elefanti), che a causa delle piantagioni di olio di palma sono diventate specie a rischio di estinzione. Si tratta di un processo senza ritorno che sta trasformando uno dei luoghi più affascinanti e ricchi di vita di questo Pianeta in un territorio desolato dove non crescerà più nulla per molti decenni, con ripercussioni sui cambiamenti climatici di cui nei prossimi anni tutti saremo testimoni. L’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile non può, pertanto, in alcun modo dichiarare che le piantagioni di olio di palma siano un bene per l’ambiente, quando i danni causati da queste sono inconfutabili. Il fatto che ci siano coltivazioni di altri oli che impattano in maniera negativa sull’ambiente naturale, non può diventare un vanto e una discolpa

  • In merito alla certificazione sostenibile dell’olio di palma

La certificazione di “olio di palma sostenibile” è conferita dal RSPO, Roundtable on Sustainable Palm Oil, un organismo fondato nel 2004 che dovrebbe garantire che i produttori di olio di palma rispettino dei “criteri minimi” nella coltivazione delle piantagioni. Questo proprio per tamponare le aspre critiche provenienti dalle associazioni ambientaliste di tutto il mondo e dall’opinione pubblica per ciò che concerne il problema delle deforestazione delle foreste della Malesia e dell’Indonesia. Tuttavia, il fatto che il processo decisionale per il rilascio della certificazione di sostenibilità sia controllato dalle stesse multinazionali che producono e rivendono l’olio di palma, non permette di considerare questo Ente come organo garante e indipendente nelle decisioni che è chiamato a prendere. La RSPO non dispone, inoltre, di sistemi legali per sanzionare le aziende aderenti che vengano accusati di eludere le linee guida di sostenibilità indicate, se non quello dell’escludere l’azienda non conforme ai criteri stabiliti. Sulla correttezza e trasparenza si stagliano dunque diverse perplessità su varie fasi del processo di certificazione e monitoraggio della produzione nonché sul reinvestimento dei fondi, derivanti dalla certificazione, in reali progetti a favore dell’ambiente e delle comunità locali.

Anche in questo caso l’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile, dichiarando al consumatore che le aziende che rappresenta sono impegnate ad acquistare olio di palma sostenibile, lascia intendere all’ignaro consumatore che la certificazione di sostenibilità ambientale significhi che la coltura di questa pianta possa avvenire in modo sostenibile e non abbia un impatto né sulla deforestazione di quelle zone del mondo, né sulla scomparsa di una vasta gamma di biodiversità presenti solo in quei territori.   

Per tutti questi motivi abbiamo chiesto all’Autorità Garante di inibire la continuazione della pubblicità ingannevole da parte dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile e diffidarla ad interrompere le iniziative pubblicitarie similari già in essere; di disporre la pubblicazione di una rettifica a carico dell’operatore pubblicitario; di provvedere a sanzionare l’Unione Italiana per l’Olio di Palma sostenibile ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005.

Se anche tu ritieni giusta la nostra battaglia aiutaci a condividerla e sostenerla, firma la petizione e fai girare questo post.

#oliodipalmainsostenibile #STOPoliodipalma #olioINSOSTENIBILE

Per maggiori informazioni visita il sito: www.oliodipalmainsostenibile.it

 

[emailpetition id=”3″]
[signaturelist id=”3″]

0Shares
0 0
Previous post

Cina, ogm, sovranità alimentare. Quanto rischiamo?

Next post

Diga Gibe III, azienda italiana uccide indigeni e distrugge patrimonio naturale