Il cambiamento climatico costa caro. E costerà ancora di più in futuro. Non solo alla collettività, per tutti i danni che provoca all’agricoltura, alle infrastrutture e alla salute, ma anche agli investitori privati. Lo ha recentemente rivelato l’Economist, che attraverso un suo studio, “I costi dell’inazione”, avverte: anche mantenendo la temperatura entro i famosi (ma inutili) 2 °C, si possono perdere 4.200 miliardi di dollari entro il 2100. Se invece l’aumento delle temperature medie globali fosse di 6 °C, i miliardi dollari bruciati sarebbero 13.800.
Il settore pubblico, in realtà, se la passa anche peggio. Ma agli analisti la cosa forse interessa meno, tanto pagano i cittadini comuni, quelli che di finanza sentono solo parlare al tg. Il report dell’Economist stima infatti per il pubblico perdite tra i 13.900 miliardi a 43.000 miliardi di dollari.
Avete capito perché (quasi) tutti iniziano a dare credito a chi, incessantemente da anni, avverte sui danni dei cambiamenti climatici?
No, non per le decine di milioni di profughi climatici costretti ogni anno a lasciare le proprie case grazie a un climate change provocato in gran parte in altri paesi. No, neppure per gli enormi danni all’agricoltura in seguito a inondazioni, siccità, desertificazione.
Macché, l’interesse per il riscaldamento globale, alla faccia di un consenso scientifico che è tale da diversi anni, arriva perché i cambiamenti climatici costano! E tanto.
Ed ecco che all’improvviso l’interesse degli Usa per le Conferenze sul clima (come quest’anno la COP21) torna miracolosamente, dopo avere snobbato le COP di questi ultimi anni.
E se anche questo importante giro di negoziazioni sulla lotta ai cambiamenti climatici dovesse rivelarsi una enorme perdita di tempo e di denaro, come del resto è stato per quasi tutte le edizioni precedenti? Si perderebbero circa 7mila miliardi di dollari di capitali privati, avverte l’Economist.
Oltre ai soldi, indovinate un po’ cosa ha svegliato all’improvviso i signori economisti? Il fatto che oltre ai costi da sostenere, queste perdite sarebbero dovute a una minore crescita economica.
La parola magica!
“Gli investitori attualmente si trovano di fronte a una scelta difficile”, spiega Brian Gardner, autore della ricerca: “Se verranno impostate normative solide sul cambiamento climatico, subiranno perdite per quanto riguarda le partecipazioni in società impegnate nello sfruttamento dei combustibili fossili. Ma dovranno affrontare notevoli perdite su tutto il loro portafoglio se queste misure stringenti non verranno adottate”.
Perdite certe, insomma. Dice bene il titolo di questo studio: l’inazione costerà molto più di investimenti più puliti, e più intelligenti: quelli che porterebbero finalmente verso una low carbon economy. Che oltre tutto è pure l’unico modo, suggerisce lo studio, per mitigare i cambiamenti climatici (fino a lì ci si poteva arrivare anche senza studi), ma anche per risollevare l’economia.
Ironia della sorte: i 4.200 miliardi di perdite stimate equivale, dollaro più dollaro meno, al valore di tutte le compagnie produttrici di gas e petrolio del mondo quotate in borsa.
Fossero loro a sparire dallo scenario globale, in realtà, non sarebbe neanche così male. Soprattutto se ciò avvenisse prima che siano loro a far scomparire la vita da questo pianeta per come la conosciamo!