Se c’è una cosa che sta emergendo con estrema chiarezza in questi giorni alla COP21 di Parigi è la necessità di dovere passare al più presto ad un sistema energetico basato sulle rinnovabili. Se così non sarà, infatti, la già insufficiente soglia dei 2 gradi centigradi entro cui contenere il riscaldamento globale sarà ben più che superata, con tutti gli effetti nefasti di cui abbiamo più volte parlato su questo blog. Ma a quanto pare il lavoro da fare è ancora molto, anche in Italia, affinché la transizione energetica possa diventare realtà. Secondo uno studio della Stanford University, il mondo industrializzato (e non solo quello) è completamente dipendente dalle fonti fossili.
Si chiamano Mark Jacobson e Mark Delucchi, e sono due ricercatori dell’Università di Stanford, negli Stati Uniti. Cosa hanno fatto? Un lavoro molto interessante: in pratica, hanno analizzato quanto le energie rinnovabili sono presenti nel mix di tutti i paesi che stanno partecipando alla Conferenza sul clima di Parigi, e hanno anche individuato quale sarebbero le più convenienti da adottare/sviluppare per ognuna delle nazioni in questione.
Su 139 paesi analizzati, l’Italia si piazza al 27º posto, con il 7,8% di energia fornita da fonti pulite. Lontanissima dalla vetta del 100% di sostenibilità energetica entro il 2050, se si pensa alle potenzialità che ha. Non male, invece, se si pensa che è ancora schiava di carbone e trivelle, rispetto a cui efficienza e rinnovabili sembrano più un problema che un’opportunità. E se si pensa che il Primo Ministro ha fatto (a Parigi, appunto) il discorso sulla necessità di combattere i cambiamenti climatici più retorico, banale e meno “sentito” che l’umanità abbia mai dovuto ascoltare.
Ma soprattutto (ed è tristissimo oltre che inquietante dirlo), la posizione dell’Italia in questa classifica sembra ancora migliore se paragonata a quella di alcune delle più importanti economie del pianeta, quelle di paesi che spesso riteniamo più virtuosi o più avanzati del nostro. L’Italia sembra infatti affidarsi alle rinnovabili per il suo fabbisogno energetico più di Francia (7,2% di energie pulite sul totale), Germania (6,7%) e Gran Bretagna (6,1%), che occupano rispettivamente il 32°, 33° e 38° posto. Per non parlare dei due grandi protagonisti della stessa COP21 di quest’anno, i due giganti dell’inquinamento atmosferico Stati Uniti (4,2%) e Cina (3,4%), al 56° e 65° posto.
Prima in classifica è invece la Norvegia, che nonostante la sua enorme disponibilità di gas e petrolio ha raggiunto nel 2014 un importante 67% di energia fornita da fonti pulite. Seguono il Paraguay (54%), l’Islanda (39%), il Tajikistan (34%) e – udite udite – il Portogallo (26%). Ultimi in classifica Oman, Qatar, Singapore e, con lo 0% di rinnovabili, Trinidad e Tobago.
Più della solita classifica di bravi e cattivi, però, ciò che interessa di questa ricerca è la ricetta che i due studiosi hanno dato per ogni paese in modo da fargli raggiungere la sostenibilità energetica entro il 2050. Per trovarla, Jacobson e Delucchi hanno prima calcolato la quantità di energia (per elettricità e riscaldamento, ma anche per i trasporti o l’agricoltura) di cui ognuna delle nazioni analizzate avrà appunto bisogno nel 2050. Poi, anche valutando costi e strategie, hanno ipotizzato il modo in cui le rinnovabili potrebbero coprire la domanda.
Risultato? L’Italia dovrebbe puntare soprattutto sul fotovoltaico (77,7%), sull’energia eolica onshore (11%) e, come del resto è stata la prima al mondo a fare, su quella idroelettrica (7,8%). Ma non ci sono solo le rinnovabili. Se si aumentasse l’efficienza energetica, secondo i calcoli dei due ricercatori il nostro paese ridurrebbe il suo fabbisogno di un impressionante 34%, per un risparmio totale di ben 456 euro per ogni singolo cittadino italiano!
E l’occupazione? Si sa, le nuove tecnologie ed energie rispettose dell’ambiente potrebbero portare ad utilissime opportunità. Ma dare qualche numero come fa l’Università di Stanford potrebbe smuovere qualche coscienza in più, soprattutto in questi perenni tempi di crisi: secondo le sue stime, se si sviluppassero davvero le rinnovabili, si creerebbero ben 877.698 nuovi posti di lavoro.
C’è da aggiungere altro?
Forse no. Solo da twittare questo post a Matteo Renzi, giusto per fare capire un po’ meglio sia a lui che a chi gli scrive dei penosi discorsi di cosa stiamo veramente parlando.