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 Rinnovabili: anche la Cina si sveglia, mentre noi continuiamo a dormire. Il governo cinese ha annunciato che, entro il 2020, investirà 361 miliardi di dollari (2,5 trilione di yuan) per produrre energia da fonti rinnovabili (72 miliardi di dollari all’anno).

Di questi circa la metà (1 trilione di yuan) serviranno per aumentare di 5 volte la produzione di energia fotovoltaica. Un impegno che, secondo gli esperti, equivale alla realizzazione di circa 1.000 grandi impianti solari (di cui la Cina nel 2016 è diventata il maggior produttore al mondo). Per il resto circa 700 miliardi di yuan andranno ai parchi eolici, 500 miliardi all’energia idroelettrica, mentre l’energia delle maree e geotermica riceveranno il resto.

Secondo il piano quinquennale dell’Amministrazione nazionale dell’energia della Cina (Nea) 2016-2020, da quest’investimento nasceranno più di 13 milioni di posti di lavoro nel settore dell’energia pulita.
Ma le misure messe in atto dalla Cina contro l’inquinamento atmosferico non finiscono qui: al piano quinquennale della Nea si aggiunge infatti un Piano per il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni promosso dal Consiglio degli affari di Stato, contenente 11 misure che includono la riduzione del consumo di carbone, la promozione del consumo di energia in settori chiave, l’intensificazione del controllo delle emissioni di inquinanti, lo sviluppo dell’economia circolare, l’aumento del sostegno tecnologico e finanziario e il rafforzamento della gestione. 

E l’Italia che fa? Frena. Mentre tutto il mondo punta sulle rinnovabili il nostro paese che godeva di ampio vantaggio rallenta.
Basti pensare che la percentuale di crescita complessiva attesa nel 2016-2020 rispetto all’installato alla fine del 2015 è del 7%. Nel periodo 2010-2015 la stessa crescita è stata del 43%*. Rallentamento è dir poco.

Servirebbe una sterzata, un cambio di rotta immediato e strategico, una presa di responsabilità nei confronti dell’ambiante, della nostra salute e del nostro futuro. Servirebbe una visione globale e sistemica delle grandi sfide che ci aspettano, servirebbero amministrazioni in grado di cogliere le opportunità, anche economiche, che deriverebbero da questi settori. E invece questo Governo, così come quelli che l’hanno preceduto, continuerà a ritenere la questione ambientale un problema di serie B. nella peggior tradizione del nostro Paese: agire solo quando ci si trova in uno stato d’emergenza. Il problema è che l’emergenza è già qui, nell’aria che respiriamo, nel mondo che stiamo lasciando alle future generazioni. E nessuno sembra accorgersene.

*Fonte: Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano

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