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Lo sosteniamo da sempre: l’olio di palma sostenibile non esiste: la certificazione di sostenibilità è una farsa e il report pubblicato ieri da Greenpeace ne è l’ennesima prova.

Venticinque pagine in cui si denuncia quanto lo IOI Group sia “sostenibile”: lo IOI è una delle principali compagnie del business dell’olio di palma, nonché una delle società ideatrici della famigerata certificazione di sostenibilità: la RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), un’organizzazione-ombrello nata nel 2004 per garantire che i produttori di olio di palma rispettino dei “criteri minimi di sostenibilità ambientale” nella coltivazione dell’olio di palma.

Secondo quanto si legge lo IOI Group è proprietario di circa un terzo delle piantagioni del Ketapang, un’area nella provincia indonesiana del West Kalimantan,

Qui la società avrebbe drenato, bruciato e piantato su torbiere protette dalle leggi nazionali venendo meno a tutti gli impegni presi sulla sostenibilità del suo operato, persino in zone che aveva promesso di proteggere non più tardi del 2014. Ma tutto ciò oggi si può conoscere solo grazie al lavoro di Greenpeace che nel report mostra le immagini satellitari in cui appare evidente l’azione devastante della compagnia “sostenibile”. Le foto mostrano chiaramente i canali di drenaggio (il primo step per avviare una piantagione di palme da olio) e le zone già bruciate, circa un terzo dell’intera area.

Secondo Greenpeace “il drenaggio delle torbiere (le foreste umide, tipiche del Sud-Est asiatico, che per le loro caratteristiche naturali sono habitat naturale di molte specie di animali oramai in via di estinzione, come la tigre di Sumatra e l’orango) aumenterà degrado, subsidenza e rischio di incendi ben al di là dei confini delle concessioni, danneggiando le foreste rimanenti e la biodiversità”. Alla faccia della sostenibilità…

È da anni che la IOI estende in modo sconsiderato le sue piantagioni a scapito dell’ecosistema locale e il Ketapang è da anni che continua la battaglia per contrastare queste piantagioni. Ma a nulla sono servite le tantissime accuse di insostenibilità, né tantomeno la tardiva quanto inutile sospensione dall’RSPO: la IOI è tuttora uno dei più grandi produttori mondiali di olio di palma.

Del resto si sa, l’unico scopo della certificazione RSPO è ed è sempre stato quello di tamponare le aspre critiche provenienti dalle associazioni ambientaliste di tutto il mondo e convincere l’opinione pubblica che il problema delle deforestazione e della distruzione delle foreste tropicali per far spazio alle piantagioni di olio di palma sia risolvibile e marginale.

Non è così. E i fatti lo dimostrano. Anche perché basta vedere come funziona il processo di garanzia per capire quanto la sua valenza sia nulla: a rilasciare la certificazione di sostenibilità sono le stesse multinazionali che producono e rivendono l’olio di palma. Multinazionali che, spinte dall’interesse e dal guadagno, in pochi anni – tra il 2000 ed il 2012 – hanno distrutto 6,02 milioni di ettari di foresta tropicale (60.000 chilometri quadrati), solo in Indonesia. Si tratta di un’area grande all’incirca come la superficie dell’intera Irlanda! La RSPO inoltre non dispone di sistemi legali per sanzionare le aziende aderenti che vengano accusati di eludere le linee guida di sostenibilità indicate, se non quello dell’escludere l’azienda non conforme ai criteri stabiliti.

Ma c’è ancora chi vuole vendere agli italiani la balla della sostenibilità.

Proprio in questo periodo si è svolta a Milano la quarta tavola rotonda europea promossa dalla RSPO per discutere della necessità di rendere 100% sostenibile la filiera dell’olio di palma europea entro il 2020 per combattere i cambiamenti climatici. Nel corso dell’evento, ospitato presso la sede de Il Sole 24 Ore, sono stati presentati i dati delle Annual Communication of Progress (ACOP) richieste dalla RSPO ai suoi membri. Nel comunicato si legge: “gli sforzi della RSPO stanno già dando i loro frutti. Nel 2015 1,9 milioni di tonnellate di olio di palma sostenibile su un totale di 2,8 milioni sono state immesse proprio sul mercato europeo”. In quei 1,9 milioni di tonnellate di olio di palma sostenibile fanno parte anche i frutti del lavoro della IOI, i cui metodi insostenibili sono proprio oggi sotto gli occhi di tutti.

Ormai non sanno più che inventarsi…

Così, dopo la pubblicità ingannevole, l’informazione manipolata e il sostegno interessato di media e governo, l’ultimo stratagemma per provare a tamponare l’emorragia di consumatori di prodotti contenenti olio di palma è un’App per per identificare l’olio di palma certificato dalla RSPO.

Si tratta dell’ennesima presa in giro! Non c’è certificazione che garantisca che la coltura di questa pianta possa avvenire in modo sostenibile, senza un impatto devastante sulla deforestazione, sulla scomparsa di una vasta gamma di biodiversità, sulle condizioni di tante popolazioni locali.

Quell’App, al massimo, utilizzata per avere ben chiaro i prodotti da non comprare mai!

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1 Comment

  1. […] situazione è ormai fuori controllo e non sarà certo qualche certificazione di sostenibilità, dietro cui nascondere realtà che tutto sono fuorché sostenibili, a fermare tutto questo. Lo […]

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