IL 2018 è iniziato con un duro colpo per tutti i cittadini italiani che si sentono ancora una volta presi in giro dal governo, oltre a rincari di luce, gas e pedaggi autostradali si aggiunge la beffa: sarà obbligatorio l’uso di sacchetti di bioplastica al supermercato nei reparti frutta e verdura (ma anche nei reparti di gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria) e il loro acquisto sarà a carico dei consumatori.
Ma c’è di più, i sacchetti non si potranno più riutilizzare per altri prodotti, tantomeno portare da casa perché la normativa richiede imballaggi vergini e non provenienti dall’esterno del negozio. Quindi ciascun prodotto acquistato avrà la sua bella bustina con un ricarico da 2 a 5 centesimi a sacchetto.
Chiariamo subito che alla base di tutto ciò ci sarebbe un principio sanissimo: produciamo troppi rifiuti inutili e dobbiamo smettere di utilizzare sacchetti in plastica prodotta dal petrolio che, se va bene, finiscono per ingrassare inceneritori e discariche o, se invece va male, vanno direttamente nei mari. Circa l’80% dei rifiuti visibili in mare aperto e sulle coste è infatti costituito da rifiuti di plastica, un vero e proprio “mare di plastica” responsabile di una vera ecatombe di uccelli, rettili e mammiferi marini.
Ma la soluzione è davvero sostituire i sacchetti di plastica con nuovi sacchetti forse un po’ più ecologici?
Innanzitutto, avrete sentito che le nuove buste dovranno essere biodegradabili, compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%. Il resto, la maggior parte quindi, rimane prodotta dal petrolio. E poi chi controlla che i sacchetti siano davvero compostabili? La filiera della gestione del rifiuto biodegradabile ha molte criticità perché è ancora sotto il controllo del Corepla e sono pochi gli impianti cui arriva materiale compostabile in modo corretto. In più sono ancora troppe le buste di plastica non a norma, cioè che esibiscono finti criteri ecologici. Infatti, essendo spesso un settore in mano alla criminalità organizzata, i comuni e gli addetti al controllo non hanno ancora gli strumenti per verificarne la conformità.
E se i sacchetti fossero completamente biodegradabili?
Ma nel caso in cui la bioplastica fosse sempre correttamente compostabile, biodegradabile e anche proveniente al 100% da materie prime rinnovabili, questo risolverebbe ogni problema? Per produrre una bioplastica sono necessarie materie prime che devono essere coltivate appositamente e che, assieme agli altri processi produttivi necessari, hanno comunque un impatto sull’ambiente. Pensate alla produzione dei fertilizzanti, oppure all’uso di pesticidi oppure ancora ai trasporti. Tutto questo non scompare magicamente perché abbiamo utilizzato un prodotto biodegradabile.
Sacchetti bio: le criticità che non vi diranno
Diversi studi scientifici dimostrano che i sacchetti bio hanno un miglior profilo su molti indicatori ambientali (consumo di risorse, consumo energetico, emissioni di gas serra per esempio), mentre potrebbe peggiorare il consumo di suolo a causa delle produzioni agricole. Ma per quanto gli impatti siano genericamente inferiori lo sono, in certi casi, solo per alcuni punti percentuali cosi come appare chiaramente per le emissioni di gas serra.
Il problema è complicato ulteriormente dal fatto che i sacchetti bio dovrebbero essere usati un certo numero di volte per poter mostrare un vero miglioramento ambientale perché in questo modo viene attutito l’inquinamento creato per produrli: cosa che risulta spesso difficile per la loro maggiore fragilità.
Questo potrebbe addirittura portare ad un paradosso: l’utilizzo di un elevato numero di queste bustine potrebbe determinare un minore impatto per un singolo sacchetto, ma un impatto maggiore considerandone la grande quantità impiegata, essendo questi monouso!
Insomma anche se volessimo tralasciare le criticità di questa presunta scelta ecologica, nella difficile situazione economica del nostro Paese sembra assurdo far pagare, ai già tartassati cittadini, le politiche per ridurre l’inquinamento da plastica. La tassa applicata dal Governo pare solo una pezza che rischia di allargare il buco.
Quale soluzioni per ridurre l’inquinamento?
La soluzione, a parer mio, non sta nell’alimentare un sistema che si fonda sul principio “usa e getta”, tanto pratico quanto dannoso per tutti noi. Al contrario, andrebbe modificato il sistema che ci porta ad usare tanta plastica e tanti imballaggi; per esempio, incentivando i prodotti alla spina, gli imballaggi riutilizzabili e tutte quelle modalità di distribuzione delle merci che possono migliorare l’ambiente e la qualità della nostra vita. Non esistono solo i banchi dei supermercati, ma crescono sempre di più modalità alternative (come i mercati di prossimità, i gruppi di acquisto solidali etc.) che possono proporre modelli più affini alle necessità dell’ambiente e del nostro benessere.
Per questo la faccenda dei sacchetti bio ha così poco senso e fa tanto discutere. Soprattutto se viene accompagnata dalla ben poco credibile posizione del Ministro dell’Ambiente Galletti e del Ministro della Salute, secondo i quali l’uso dei sacchetti riutilizzabili portati da casa esporrebbe al rischio di contaminazioni batteriche.
Dopo 5 anni al governo, Galletti e Lorenzin che si preoccupano per la nostra salute obbligandoci a comprare più sacchetti non so se possa fare più ridere o incazzare…