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C’è ancora speranza. Lo testimoniano vicende che si riscontrano qua e là nel mondo, soprattutto in piccole realtà: esperienze in cui la dimensione locale è ancora quella dominante, di chi almeno ci prova a rendere l’ambiente in cui vive un posto migliore. Una di queste è quella dell’Isola di Samso, in Danimarca, dove da anni si è raggiunta l’indipendenza energetica.

L’ho capito ascoltando un intervento di Soren Hermansen, direttore della Samso Energy Academy, originario proprio di quest’isola di circa 4mila abitanti situata nella regione danese dello Jutland centrale. Nel 1998 a Samso il governo ha infatti avviato un esperimento, finanziato sia da tasse locali che da investimenti privati, per capire se era pratico generare tutta l’energia necessaria all’isola da sole fonti rinnovabili. Un esperimento che è pienamente riuscito, visto che dieci anni dopo l’isoletta è diventata totalmente auto-sufficiente a livello energetico, e completamente indipendente dall’utilizzo di fonti fossili.

In realtà questa “indipendenza” è stata raggiunta già nel 2003, con cinque anni di anticipo rispetto agli obiettivi prefissi, grazie all’installazione di dieci turbine eoliche in mare e undici su terra ferma (opere eseguite da compagnie delle quali molti isolani sono azionisti), e al fatto che su tutta l’isola i tetti delle case hanno pannelli solari o fotovoltaici. Le turbine sono più di quelle necessarie all’isola, e ciò è stato fatto sia per vendere il surplus al continente che per compensare le emissioni dei mezzi di trasporto rimasti alimentati a petrolio. Anche se, ha rivelato Soren Hermansen, la municipalità punta ad avere presto solo mezzi a zero emissioni di CO2.

La cosa che però mi ha colpito non è tanto il fatto di avere installato pale eoliche per sostituire i combustibili fossili, né quella di avere previsto l’uso di auto elettriche e traghetti che usino solo biomasse (da scarti agricoli) per funzionare. L’aspetto veramente rivoluzionario del progetto di Samso è che per essere messo in pratica si è coinvolta l’intera comunità. È un punto su cui insiste molto Hermansen, per cui non ci si può aspettare che la gente accetti a priori un qualsiasi impianto, eolico o di altro tipo, se non viene coinvolta nei processi decisionali e perché, no, nella condivisione dei benefici economici che ne derivano. Non ci si può stupire se la gente si oppone a una nuova mega-struttra, ha ripetuto più volte l’imprenditore danese, se la proprietà della stessa è solo di una grande compagnia energetica o di un qualche investitore di chissà dove, e i guadagni non rimangono alla comunità.

Gli sforzi degli isolani danesi sono andati ben oltre i target ufficiali dell’Unione europea, che come sappiamo bene si è “solo” impegnata a ridurre le emissioni di gas serra di un quinto dei livelli raggiunti nel 1990 entro il 2020, e di ottenere da fonti rinnovabili almeno un quinto del suo fabbisogno energetico. Alcuni abitanti di Samso affermano che la realizzazione del loro progetto è stata aiutata più dallo sviluppo di un “azzardo rurale” che da obiettivi e regolamentazioni imposte dalla burocrazia. Un successo quindi non solo dal punto di vista energetico e ambientale, ma anche e soprattutto di cooperazione sociale e rinvigorimento della comunità locale.

Altri benefici riguardano poi l’occupazione: i materiali da costruzione necessari alle fondamenta delle turbine eoliche, l’installazione dei vari pannelli, le migliorie apportate all’isolamento delle case, hanno portato impiantisti, muratori, fabbri ecc. a non lasciare l’isola in un momento di rallentamento economico (sì, anche nel ricco nord Europa) e alcune nuove famiglie si sono addirittura trasferite a Samso da altre città danesi.

Il progetto di Samso è possibile su una piccola isola, ma una piccola isola che si trova in un paese come la Danimarca. Che non solo è il primo produttore di turbine e pale eoliche del mondo (un settore che occupa diverse migliaia di persone), ma vuole anche diventare carbon neutral a livello nazionale entro il 2050.

Ve lo immaginate un progetto del genere in Italia? Ce lo vedete il governo italiano investire sull’indipendenza energetica dell’isola d’Elba?

A livello di capacità delle comunità locali di cooperare per raggiungere obiettivi utili per il proprio territorio saremmo sicuramente ancora più pronti dei danesi. A livello istituzionale, invece, da una parte rischieremmo ancora di vedere sperperare fondi pubblici attraverso sussidi dati con i piedi, magari per riempire i crinali delle colline di pale eoliche che non girano mai. Dall’altra, saremmo (anzi siamo!) ancora qui ad ascoltare il governo parlare di trivelle e di carbone. È il rischio che si corre, quando ci si ritrova decisori pubblici giovani fuori, ma vecchi dentro.

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