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L’esposizione all’inquinamento da particolato fine (PM2.5) potrebbe aumentare drammaticamente la mortalità del COVID-19. Uno studio dell’università di Harvard aggiunge nuovi elementi alla analisi della SIMA.

I ricercatori del dipartimento di Biostatistica della Harvard T.H. Chan School of Public Heath hanno investigato l’ipotesi che gli effetti a lungo termine dell’inquinamento da polveri sottili (PM 2.5) possano aumentare drasticamente il rischio di morte da COVID-19.

Il presupposto dello studio, che è attualmente in via di pubblicazione, è la notevole sovrapposizione tra le cause di decesso dei pazienti COVID-19 e quelle di malattie correlate all’esposizione a lungo termine al particolato fine (PM2.5). Per verificare l’ipotesi che il particolato possa esacerbare la gravità dei sintomi dell’infezione da COVID-19 e aumentare il rischio di morte, i ricercatori hanno confrontato i dati di mortalità e contagio degli Stati Uniti, depurati dagli effetti di molti fattori confondenti[1], con l’esposizione a lungo termine (dal 2000 al 2016) all’inquinamento dell’aria da PM2,5.

I risultati del documento suggeriscono che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta la vulnerabilità al COVID-19: un aumento di 1 µg/m3 nell’esposizione a lungo termine di PM2,5 aumenterebbe del 15% il tasso di mortalità COVID-19.

Un esempio specifico citato dagli autori dello studio è quello di Manhattan, quartiere di New York e attuale epicentro della pandemia negli Stati Uniti. A Manhattan i valori di PM2.5 variano da circa 7 a 11 µg/m3 negli ultimi anni e i decessi segnalati per COVID-19 fino al 4 di aprile sono 1904.

Se i livelli di particelle fossero stati in media solo di un’unità inferiori negli ultimi due decenni, i ricercatori hanno calcolato che 248 persone in meno sarebbero morte nelle ultime settimane.

Immagine che contiene testo

Descrizione generata automaticamente
Concentrazione delle concentrazioni di PM2.5 a Manhattan negli anni 2009-2017

Ma veniamo all’Italia ed in particolare alla zona più colpita dal COVID-19, la pianura padana. I dati ISS, infatti affermano che in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto si contano ben l’84,7% dei morti totali (dei 14860 casi di decesso al 6 aprile.

Analizzando i dati del Ministero della Sanità reperibili sul sito del sole 24 ore è possibile stilare una lista dei comuni più colpiti in termini di contagi sia per numero di casi in assoluto che per casi su abitante.

LuogoCasi totali%contagi/popolazione
Cremona44891,251%
Piacenza3021,052%
Lodi23761,032%
Bergamo100430,90%
Brescia101220,80%
Reggio Emilia35050,66%
Mantova22770,55%
Parma24210,54%
Lecco18050,54%
Pavia28890,53%
Alessandria20810,49%
Verbano C O7740,49%
Rimini16130,48%
Modena28670,41%
Vercelli6930,41%
Milano124790,38%
Monza Brianza33550,38%
Sondrio6540,36%
Biella6210,35%
Padova31340,33%
Novara12180,33%
Verona30490,33%
Torino69250,31%
Asti6550,31%
Belluno6200,31%
Bologna28560,28%
Forlì Cesena10810,27%
Como16050,27%
Cuneo13010,22%
Vicenza18850,22%
Treviso19060,22%
Venezia17510,21%
Ravenna7510,19%
Varese14910,17%
Ferrara5630,16%
Rovigo2490,11%

Tra queste la provincia più tristemente colpita, soprattutto per i casi fatali, è quella di Bergamo. Nel capoluogo i decessi sono quasi quadruplicati passando da una media di 110 casi negli anni dal 2015 al 2019 a 430 nel 2020 (dal 24 febbraio al 21 marzo).

A titolo di puro esercizio ho estratto dal database sulla qualità dell’aria dell’Agenzia dell’Ambiente Europea (EEA), i valori medi annuali, massimi e minimi giornalieri dell’inquinamento da PM2.5 nelle città di Bergamo e Cremona. I dati sono disponibili soltanto per gli anni dal 2013 al 2018.

 Bergamo  Cremona  
AnnoMedia annualeMassimo giornalieroMinimo giornalieroMedia annualeMassimo giornalieroMinimo giornaliero
201323.1779.501.5927.16095126.04652.9866
201420.2089.002.0025.28963105.55423.07625
201525.6783.303.0029.29249131.06252.100833
201622.07114.401.3025.50144131.06251.7575
201726.35169.802.1028.94044157.10832.112083
201821.3378.001.0023.3867779.259092.777083
Valori medi delle emissioni di PM2.5 nelle città di Bergamo e Cremona [µg/m3]

Sarebbe assai interessante poter verificare se quello che emerge nello studio di Harvard, cioè che ci sia una correlazione tra l’inquinamento da PM2.5 e la mortalità da COVID-19, sia valido anche nel nostro Paese.

Nel frattempo però, un team di ricerca tutto Italiano ha pubblicato sulla rivista Environmental Pollution un paper scientifico che conferma anche nel caso italiano che l’alto livello di inquinamento nel Nord Italia dovrebbe essere considerato una concausa dell’alto livello di mortalità registrato nella zona.

Una ulteriore riprova di una correlazione decisamente evidente che restava soltanto da dimostrare attraverso evidenza scientifiche più solide. E sono certo che nel tempo le evidenze saranno ancora di più.

Un monito importante, inoltre, a tutti coloro che ritengono sia possibile, ed anzi opportuno, che nel breve periodo si torni a puntare sulle fonti fossili o nella riduzione degli standard ambientali. Un esempio tra tutti è quello del settore automobilistico dove si prospetta un fermo agli investimenti nelle auto elettriche per ripiegare su auto a benzina e diesel e, possibilmente, su una riduzione degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti delle auto. Tutto ciò propagandato come necessità di consentire profitti immediati all’industria dell’auto, sonoramente colpita dagli effetti della pandemia da COVID-19.

La riduzione degli standard ambientali e degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti sarebbero la risposta più sbagliata ad una crisi sanitaria che ha profonde radici ambientali.

Sta a tutti noi impedire che questo accada.

Leggi lo studio (lingua inglese)


[1] Sono stati considerati fattori socioeconomici, demografici, meteorologici, comportamentali e sanitari che possono influenzare la mortalità e si è verificata la loro importanza attraverso una vasta gamma di analisi di sensitività.

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