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Lo strano mondo in cui viviamo vuole, spesso e in molti campi, che a pagare colpe di guai non commessi siano i più deboli. Succede da che mondo è mondo, purtroppo, e oggi lo vediamo anche con i cambiamenti climatici: a fare le spese degli effetti provocati dall’industrializzazione di alcuni paesi sono proprio quelli che invece hanno meno contribuito a provocarli.

Come ricorda il dottor Sergio Castellari del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici , dal 1970 al 2008 più del 95% della mortalità causata da disastri naturali è stata nei Paesi in via di sviluppo. Che, in questo modo, hanno visto aggravarsi ulteriormente la loro vulnerabilità. Ma attenzione, perché i costi climatici, sia in termini economici che di vite umane, riguardano l’intero pianeta, ovviamente.

Una questione di diritti da tutelare? Decisamente sì. E di ogni tipo. lo conferma l’International Bar Association (IBA), che ha recentemente rivelato l’importanza della cosiddetta “giustizia climatica”. Sì, perché il climate change tocca praticamente ogni area del diritto internazionale: i diritti umani, il commercio, gli investimenti, le migrazioni.

Secondo il report, la legislazione oggi non è all’altezza di tutelare i diritti violati in questo senso. Anzi, in tutto il mondo essa rende le azioni da adottare sul clima di ancora più difficile attuazione. Per questo l’IBA chiede a gran voce una migliore tutela dei diritti umani per le vittime del cambiamento climatico. E offre 5 soluzioni, riassunte dal Guardian e riportate in italiano dal web magazine Rinnovabili.it. Vediamole:

1. Riconoscere le vittime del climate change

Va riconosciuto che il cambiamento climatico provoca vittime e va data loro udienza in tribunale. La relazione propone che gli Stati adottino un “modello di statuto sui rimedi giuridici per il cambiamento climatico”.

2. Rafforzare i diritti umani

È chiaro da tempo che il cambiamento climatico danneggia i diritti umani. Meno chiaro è se i giudici possono applicare la legge esistente per esprimersi su queste violazioni. Il collegamento esiste, e va fatto.

3. Chiedere il conto alle corporation

Oggi le multinazionali possono sfuggire la responsabilità per le emissioni di carbonio più o meno allo stesso modo in cui sono spesso sfuggite alle responsabilità per le violazioni dei diritti umani causate da filiali e fornitori esteri. Bisogna cominciare a contare le emissioni lungo tutta la catena di produzione, distribuendo le responsabilità anche tra chi, di solito, tira i fili della produzione inquinante seduto in poltrona in un altro continente.

4. Rinforzare le istituzioni internazionali

Quando si tratta di controversie ambientali, gli Stati raramente fanno uso della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), principale organo giudiziario del mondo per le controversie di diritto internazionale. Nessuna azione legata al clima, in particolare, ha mai varcato le soglie di questo tribunale. Si scelgono spesso le corti di arbitrato internazionale, dalle procedure opache e penalizzanti per il potere pubblico, al limite dello scandalo (leggi qui per approfondire).

5. Regolare il sistema del commercio internazionale

Servono regole che non permettano al commercio di penalizzare le azioni in difesa del clima. Vanno fatte rispettare in ambito Wto, ma non solo. Misure analoghe dovrebbero essere incluse in tutti gli accordi commerciali bilaterali e regionali, come il Partenariato Transpacifico (TPP) e il gemello transatlantico Trade and Investment Partnership (TTIP) ora in fase di negoziazione. Questi, ed eventuali altri futuri accordi, secondo l’IBA devono essere attentamente valutati in termini di impatti climatici a lungo termine prima di essere completati.

E invece? Si sta andando esattamente in direzione opposta: i nostri diritti collettivi vengono erosi di anno in anno. Siano essi climatici o meno.

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