Sarà l’influenza dei media, sarà la crescente smania di cura del proprio aspetto fisico, ma oggi usiamo troppi cosmetici. Che, spesso, sono prodotti con ingredienti dannosi per l’ambiente. Ma nonostante l’enorme quantità di creme, detergenti, lozioni per il corpo e trucchi usati ogni giorno, in Italia non esiste una normativa che preveda di misurare il loro impatto sugli ecosistemi. Ne discuteremo oggi in Commissione Ambiente, dove continua l’esame della Proposta di legge per la certificazione ecologica dei cosmetici.
Nei prodotti per la cosmesi ci sono gli ingredienti più disparati. In alcuni casi, però, questi rappresentano un danno talmente grande per l’ambiente, che di questo passo sarà presto insostenibile. Ci siamo infatti mai chiesti dove finiscono le decine di milioni di tonnellate di prodotti che usiamo? O da dove provengono? E cosa provoca il loro continuo sversamento in fiumi, laghi e mari? Cosa comporta una tale produzione di massa per la salute di interi ecosistemi?
Pensiamo all’olio di palma, materiale di base in detergenti, dentifrici, shampoo, cere, smalti e rossetti (una volta era il grasso di balena, figuriamoci). Per produrlo, si bruciano e devastano aree enormi di foreste pluviali. La palma da olio, originaria dell’Africa occidentale (negli anni ’60 il primo fornitore mondiale era la Nigeria), è molto feconda: produce grappoli anche da 3mila frutti grandi più o meno come prugne.
Il suo boom, arrivato all’apice in questi ultimi anni ma senza possibilità di continuare in questo modo per ovvi motivi ecologici, ha diffuso sue piantagioni ovunque, dall’Africa al Messico, fino alla Nuova Guinea e il sud est asiatico in generale, dove l’olio di palma è diventato il migliore amico di pochissime corporation che ne controllano il mercato, ma il nemico numero uno dell’ambiente. Malesia e Indonesia, giusto per capire le dimensioni del problema, assieme coprono circa l’80% della produzione mondiale, e hanno già trasformato in piantagioni di palma da olio un’area delle loro foreste pluviali più vasta dell’intera Italia.
Nel nostro Paese, a differenza di quanto avviene in Germania, Francia e Paesi scandinavi, non esiste nessuna forma di certificazione ecologica dei cosmetici gestita e garantita dallo Stato. Molti sono i marchi privati, dimostrazione di una reale esigenza di mercato. Ma queste certificazioni fai da te sono adattabili a qualsiasi esigenza e, molto spesso, sono troppo diverse le une dalle altre e finiscono per creare una confusione insostenibile da parte dei consumatori.
Oltre a questi marchi ecologici ci sono molti marchi senza nessun disciplinare. Si tratta di loghi di fantasia che il produttore appone sull’etichetta allo scopo di attirare la clientela attenta all’etica. Oppure, a volte, delle vere e proprie forme di greenwashing.
Molti cosmetici sono prodotti anche con il sego, il grasso che riveste le regioni sottocutanee addominali e diversi organi interni dei bovini – reni, stomaco, intestino. È ottenuto dal grasso bovino, appunto, trasformato tramite colatura e usato in particolare per la fabbricazione di saponi, creme e rossetti.
E che dire delle innumerevoli sostanze chimiche che ci spalmiamo sulla pelle, fra i capelli o con cui ci laviamo i denti e il viso? Al di là degli effetti (benefici o meno) che hanno sulla nostra salute, abbiamo il dovere di iniziare a pensare a cosa provocano una volta finiti giù per lo scarico. Perché le conseguenze si potranno presto rivelare irrimediabili.
Con oltre 2 milioni di tonnellate di cosmetici usati ogni anno nella sola Unione europea, capite bene che la situazione ha bisogno di controlli seri e certificazioni ambientali efficaci, se vuole avere un futuro, perché così non può continuare. Serve al più presto una normativa che possa dare vita e rafforzare una filiera virtuosa, magari puntando sulla ricerca e sull’innovazione. Il tutto prevedendo la creazione del marchio italiano di qualità ecologica.
Nel frattempo, anche noi “consumatori” possiamo fare molto per limitare i danni di queste nostre crescenti esigenze. Da una parte, leggendo bene le etichette e informandoci prima sui prodotti che acquistiamo (e i loro produttori). Dall’altra, iniziando a fare da noi ciò che in realtà, con un po’ di tempo e di fantasia, possiamo crearci da soli, a impatto minimo sull’ambiente e sul nostro portafogli.
Qualche spunto in questo senso lo può dare Lucia Cuffaro, auto-produttrice che si è spesso occupata anche di cosmesi naturale.
Forse, alla faccia delle multinazionali e delle piantagioni di palma da olio, il futuro della cosmesi sta proprio lì!