La questione di Volkswagen e delle truffe sue e a quanto pare anche di Bmw e di chissà quante altre case automobilistiche per far sembrare le auto meno inquinanti di quello che sono, riporta prepotentemente all’attenzione la necessità di abbandonare progressivamente la tecnologia sporca, superata e truffaldina delle auto, per passare finalmente ad un sistema di mobilità dolce e sostenibile.
E’ vero, queste truffe sono probabilmente anche il frutto del crollo di vendite del settore auto, che in un sistema ultraliberista e iper-competitivo come quello nordamericano ha portato i padroni di casa a far fuori un concorrente scomodo. Ma di sicuro sono anche legate alla necessità di abbassare una volta per tutte le quantità di gas serra e gas tossici che vengono scaricati in atmosfera dalle autovetture.
Legislazioni innovative, limitazioni del traffico, crisi economica e presa di coscienza di sempre più persone ha portato negli ultimi anni a dei cambiamenti nella mobilità impensabili anche solo fino a poco tempo fa. Ne sono una chiara testimonianza il successo del car sharing e del bike sharing, ma soprattutto il boom di vendite di biciclette che si è avuto sia in Italia che in molti altri paesi occidentali. Così come la diffusione di auto ibride, alimentate a metano e GPL.
Del resto, i numeri parlano chiaro. Secondo uno studio della Fondazione Caracciolo, il costo della congestione del traffico nelle sei città più popolose d’Italia (Palermo, Roma, Milano, Napoli, Genova, Torino), ammonta a ben 5 miliardi di euro. Sono cifre spaventose, che dovrebbero indurre i legislatori nazionali e locali a rendersi conto che un cambiamento di rotta è inevitabile.
La Commissione Ambiente della Camera è impegnata nell’approvazione di quello che sarà il primo provvedimento strutturale sulla mobilità dolce. Al momento, le proposte di legge presentate sono quattro, di cui una porta il mio nome, che condividono tutte la stessa finalità: creare una rete di turismo sostenibile, partendo dalla valorizzazione e il recupero degli itinerari di valore storico e culturale.
L’idea, concretamente parlando, è quella di creare una rete nazionale di mobilità dolce che, in via prioritaria, riguarderà le infrastrutture in disuso. Qualche esempio? Ferrovie non più utilizzate, argini e alzate di fiumi e canali, tronchi stradali dismessi, strade appartenute al demanio militare ecc.
Per rendere efficiente questo sistema è prevista la creazione di una struttura di trasporti pubblici che renda praticabili e facilmente raggiungibili questi percorsi. Le Regioni avranno il compito di elaborare un programma regionale di mobilità dolce, aggiornato al massimo ogni due anni. Sarà poi creato un elenco nazionale per individuare tutte le linee ferroviarie e i percorsi viari. Infine, è prevista anche la creazione di un “Ufficio biciclette”, presso il Ministero dell’Ambiente, per la promozione e il controllo di una rete nazionale.
Le quattro proposte di legge sono molto simili, quindi non penso sia difficile arrivare in tempi brevi a un testo condiviso e alla sua approvazione. Allo stesso tempo, mi rendo conto che per chi crede nella mobilità dolce questa è una grande occasione, che dobbiamo sfruttare al meglio, senza lasciare nulla al caso.
Proprio per questo vorrei che tutte le associazioni e in generale chi da anni si è impegnato per la crescita di un sistema di trasporti più sostenibile partecipasse domani, martedì 29 settembre, all’incontro che si terrà alla Camera dei Deputati proprio sulla mobilità dolce.
Infatti, è necessario unire le nostre forze, le nostre visioni di vita e le nostre esperienze, per ottenere il risultato migliore possibile. Ma anche perché il percorso è tutt’altro che in discesa. Rimane aperta ad esempio la questione del codice della strada, che attualmente ignora la sicurezza dei ciclisti, mentre in città come Malmo esiste addirittura un sistema semaforico che dà la precedenza alle biciclette.
Il mio auspicio è di ritrovarci in questa sede tra qualche anno potendo fare l’elenco delle città che avranno trasformato i loro territori fantasma in aree ciclabili, dove l’immenso patrimonio paesaggistico italiano potrà essere apprezzato in tutta la sua bellezza.
E magari, perché no, trovare finalmente nell’elenco delle città-modello europee nella mobilità sostenibile anche qualche nome italiano.