Agricoltura e qualità: puntiamo sempre al Made in Italy!
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Il cibo è il nuovo petrolio, la terra è il nuovo oro.
Parlare di cibo e di qualità oggi più che mai significa parlare di politica, parlare del nostro futuro. Scegliere cosa mangiamo, ponendo anche attenzione a come viene prodotto, è un gesto importante che può marcare la differenza tra contribuire al grande cambiamento per cui stiamo lottando, oppure continuare ad alimentare un sistema globale ingiusto, insano e distruttivo.
Il nostro Paese è conosciuto nel mondo per la qualità delle sue produzioni agroalimentari, per la grande diversità di produzioni e specificità territoriali. L’agricoltura è un settore chiave e strategico per il futuro del nostro Paese. Per questo è fondamentale costruire un rapporto sano tra agricoltura, ambiente e paesaggio che sappia tutelare allo stesso tempo la sopravvivenza delle aziende e la salute dei cittadini.
Pur essendo cresciuto in un ambiente urbano…
fin da bambino ho vissuto circondato dalle monocolture del riso e del mais che caratterizzano le zone dove abito. La convivenza tra queste colture intensive e la cittadinanza non è mai stata facile, certamente a causa di un modello di produzione agricola che ha forti impatti sull’ambiente per la sua dipendenza dalla chimica. Per questo in questi anni non ho risparmiato le critiche a questo settore, non ultima la polemica sull’abbruciamento delle stoppie.
Eppure, come ogni Vercellese che si rispetti, ciascuno di noi conosce qualcuno che lavora nella risicoltura o nel suo indotto e conosce che questo settore ha visto negli anni un forte declino che ha raggiunto oggi un punto critico. L’importazione selvaggia senza dazio del riso asiatico (Myanmar, Laos, Cambogia) ha inondato il mercato europeo di un prodotto a basso costo coltivato con standard di qualità ambientale, sanitaria e della tutela del lavoro assai diversi dai nostri.
Poco importa che le motivazioni umanitarie di questa operazione si stiano dimostrando ben poco fondate e che la clausola di salvaguardia, lo strumento pensato per intervenire in caso le importazioni arrechino danni alle nostre aziende, sia stata richiesta tardi e male e abbia comunque criteri inadatti che rischiano di intervenire a paziente morto. Sarebbe ancora utile salvare il comparto dalle impostazioni selvagge quando ormai la maggior parte delle aziende sono fallite, magari cannibalizzate da quelle più grandi o legate ai grandi capitali dell’industria?
Quale soluzione?
Sono convinto che la soluzione non stia nella contrapposizione tra cittadini e agricoltori, ambientalisti e produzione. Il cibo è fondamentale per tutti noi (ovviamente) e le nostre scelte alimentari possono indirizzare la produzione verso maggiore sostenibilità e rispetto per la salute. Il settore del biologico con la sua crescita costante è un esempio lampante del potere che abbiamo quando facciamo delle scelte in queste direzione. Certo poi dovremmo evitare che qualcuno faccia il furbo, come hanno dimostrato le inchieste proprio sul falso biologico.
Come Paese l’unica possibilità che abbiamo è puntare e sostenere la nostra produzione di qualità, caratterizzarci non solo per un prodotto, ma per l’unione tra prodotto, ambiente e paesaggio e cultura enogastronomica. In una parola: puntare sempre di più verso la qualità.
Gli accordi stupidi e dannosi come quello che ha messo in ginocchio il settore non fanno atro che obbligarci ad una competizione al ribasso dalla quale noi non potremo mai uscire vincitori.
Per questo dobbiamo lottare per fermarli e lottare per qualità e sostenibilità delle produzioni.