Aperture domenicali, diciamo no al Far West
Aperture domenicali? Siamo contrari alle liberalizzazioni da Far West che non portano frutto all’economia e che disgregano il tessuto di famiglie e gruppi, oltre a portare evidenti danni a lavoratori e PMI.
Negli ultimi anni il nostro territorio ha visto sorgere su di sé degli edifici immensi, corredati da parcheggi ciclopici, torrette, tubi e macchinari per l’aria condizionata… stiamo parlando dei Centri Commerciali!
In un primo momento questi Mammut del commercio sono stati accolti anche con favore dalle persone, sono sembrati dei portatori di ricchezza, di posti di lavoro. Ma oggi l’incantesimo, o potremmo dire l’inganno, è stato smascherato ed è sempre più chiaro che questi bestioni non sono altro che immense sanguisughe che succhiano le ricchezze dai territori lasciando scivolare fuori solo le briciole.
Perché le aperture domenicali secondo il M5S sono da rivedere? Può sembrare una questione di poco conto, ma non lo è perché da un piccolo dettaglio possiamo toccare un nervo scoperto del nostro sistema economico e sociale. Andiamo per gradi e facciamo qualche passetto indietro.
Ad aprire le danze della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali con le 8 domeniche più tutti i festivi di dicembre è stato il D. Lgs. n. 114/98, il cosiddetto “decreto Bersani”. Si è giunti infine al decreto-legge n. 201 del 2011 (Governo Monti), che dal 1o gennaio 2012 ha definitivamente liberalizzato, senza eccezioni e in tutto il territorio nazionale, il regime degli orari degli esercizi commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, superando il previgente principio generale dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva dei negozi e le regolamentazioni locali degli orari giornalieri di apertura e chiusura degli stessi negozi e dei pubblici esercizi.
Quali erano gli obiettivi dichiarati della liberalizzazione?
Semplice: un aumento dei consumi e quindi una ripresa del livello dell’economia generale.
In particolare, in uno studio del 2009, Federdistribuzione stimava che l’introduzione della liberalizzazione delle aperture domenicali avrebbe portato ad un aumento di quasi 4 miliardi dei consumi, pari a un incremento di circa il 2%.
Ahinoi tutto ciò non è accaduto, ma è avvenuto ben altro, e non sono belle notizie…
Ebbene, nel periodo in cui la nuova normativa è entrata in vigore, abbiamo assistito al peggior crollo dei consumi della storia repubblicana, con una flessione del 4,3% nel 2012 e un’ulteriore diminuzione del 2% prevista per quest’anno.
Nessun aumento del PIL, ma una mera redistribuzione degli acquisti sui diversi giorni della settimana, a favore della domenica e a scapito degli altri giorni. La stessa Federdistribuzione conferma anche che le aperture domenicali sistematiche spostano, semplicemente, i consumi dai giorni feriali alla domenica, durante la quale si totalizzerebbero il 16,5% delle vendite totali della settimana.
A questo punto è doveroso fare delle osservazioni di massima per giungere poi a delle conclusioni ragionevoli.
La liberalizzazione degli orari ha sostanzialmente favorito la concentrazione dei consumi nel weekend che a sua volta ha favorito la grande distribuzione. Dal 1996 ad oggi la “fetta” di distribuzione commerciale occupata dalla Grande Distribuzione è passata dal 36,9 al 46,1% e questa tendenza è particolarmente accentuata nel settore alimentare causando, a cascata, posizioni abusive nei confronti dei fornitori per spuntare prezzi sempre più bassi.
Iniziamo così a capire a chi giovano aperture domenicali e liberalizzazione!
Quando c’è qualcuno che vince, c’è sempre qualcuno che perde, ed in questo caso a perdere sono stati inevitabilmente le piccole e medie imprese che hanno visto la propria quota di mercato sempre più erosa dallo strapotere dei grandi centri commerciali, unici nel poter sostenere l’aggravio di costi diretto ed indiretto, in particolare a valere sul fattore lavoro, derivante dalle aperture domenicali. L’effetto sulle piccole superfici è stato devastante: tra il 2012 e i primi mesi del 2013, abbiamo perduto, per sempre, 31.483 imprese del commercio al dettaglio, ed una perdita stimata di 90 mila posti di lavoro.
Anche l’obbiettivo di una maggior occupazione non è stato raggiunto. Anzi, nel contratto del Commercio, ormai la domenica lavorativa è considerata obbligatoria e non retribuita come straordinaria ma, semplicemente, con una maggiorazione che può andare dal 10 al 30%.
Tradotto: quando lavorate la domenica guadagnate solo dai 6 ai 12 euro in più!
E in molti contratti di secondo grado si considerano pure le altre festività come obbligatorie.
In estrema sintesi, per un paese come l’Italia, il paese dei quasi 8.100 Comuni spesso anche piccoli e piccolissimi, le misure legislative favorevoli alla GDO, come quelle sulla libertà totale degli orari di apertura, e le previsioni urbanistiche selvagge non possono far altro che produrre quel fenomeno di desertificazione e degrado che vivono moltissime città e province italiane, dove sempre più spesso nell’imbarazzante paesaggio vediamo sorgere delle vere e proprie cattedrali del consumo.
Un consumo per di più alienato e non consapevole.
Dove i prodotti vincenti e scontati sono spesso legati a filiere internazionali di dubbia provenienza e sicuramente completamente scollegati con il territorio che ospita l’edificio. Lo sviluppo della Grande Distribuzione ha creato quindi danni su più fronti. Abbiamo visto perdite in termini di profitto, perdite in termini occupazionali, di qualità e sicurezza del prodotto e non ultimo in termini di socialità e sicurezza del territorio, che al di fuori di questi casermoni è lasciato all’incuria.
Ma c’è anche un’ultima problematica che vorremmo segnalare e che ci sta particolarmente a cuore, ossia quella legata alla tutela dei rapporti familiari.
Da quanto tempo non passate una domenica con i vostri affetti più cari?
Perché se è vero che molte famiglie si ritrovano appunto la domenica a fare compere insieme, sono altrettante le famiglie che vedono distrutta la propria esistenza per colpa degli esercizi commerciali aperti la domenica nei quali uno o entrambi i coniugi lavorano. Sono molteplici le testimonianze che di famiglie che non riescono neppure più a vivere i momenti di festa insieme, mamme che non riescono a trascorrere una giornata intera con i figli da svariati mesi, famiglie che vivono una tristissima realtà di “separati in casa”, di mariti costretti a prendersi ferie per incontrarsi con la moglie che ha lavorato la domenica, ecc…
Quelli sopra evidenziati sono problemi che noi vorremmo combattere, ed è per questo che il Movimento ha giustamente proposto una modifica legislativa per impedire le aperture domenicali e nell’insieme rivedere il tema dell’orario di apertura delle attività commerciali.
Proprio lunedì 14 ottobre 2013 il MoVimento 5 Stelle ha presentato in aula la proposta che disciplina gli orari di apertura degli esercizi commerciali.
Aperture domenicali selvagge? Il M5S dice no. Non è questa visione del lavoro che può aiutare la nostra economia!
Mirko Busto
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