Cambiamento climatico: Cop 21 un’occasione da non perdere
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Si è aperta a Parigi la 21esima conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un appuntamento importante ed atteso. Un’ultima chiamata per il clima, dove più di 190 governi di tutto il mondo dovranno discutere un accordo globale di riduzione delle emissioni di gas serra per fermare le conseguenze devastanti del cambiamento climatico – sulla salute, sugli ecosistemi, sulle risorse idriche, sull’agricoltura e sull’economia.
Se si parla solamente di cambiamento climatico si rischia però di inquadrare il problema dalla prospettiva sbagliata. Il cambiamento climatico è infatti la diretta conseguenza di scelte ben precise: di politiche industriali, economiche e sociali sbagliate, portate avanti dai governi di tutto il mondo ed in particolare dai paesi più ricchi. Per parlare di “cambiamento climatico” si deve parlare, innanzitutto, di quanto noi siamo disposti a cambiare per salvare il futuro del nostro pianeta. Di quale è l’idea che abbiamo del mondo in cui vogliamo vivere.
L’attuale concentrazione di CO2 in atmosfera è di oltre i 400 ppm, il che rappresenta il livello più alto da circa 15 milioni di anni. Prima dell’era industriale il livello di CO2 è stato all’incirca costante per circa 10.000 anni ad un valore molto più basso di quello attuale, circa 280 ppm, e con esso è stato stabile il clima del pianeta. Durante tutti questi anni, in questa epoca geologica detta olocene, l’uomo ha potuto sviluppare l’agricoltura e tutte le moderne civiltà umane, tra cui la nostra.
A cosa andiamo incontro, se non invertiamo subito la rotta? A nulla di buono. Basti pensare che il nostro sistema climatico sta assorbendo quantitativi enormi di calore. Per essere più precisi, sta accumulando 250 triliardi di joule al secondo: l’equivalente di 4 bombe atomiche di Hiroshima al secondo!
L’Italia dimostra già oggi di trovarsi nell’area più vulnerabile al rischio degli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Mentre nel mondo la temperatura media è salita di 0,57 °C, l’incremento italiano è stato di ~1,5 °C, quindi quasi tre volte l’aumento medio globale.
Secondo lo scenario RCP8.5 la temperatura italiana potrebbe andare ben sopra i 4 gradi, vale a dire un riscaldamento con un minimo di 4 °C in autunno e un massimo di 7,5 °C in estate. Un Paese più caldo è un paese con più eventi estremi: più alluvioni, nubifragi, tempeste, intense ondate di freddo e di caldo e siccità.
L’agricoltura è il settore più vulnerabile al cambiamento climatico. Secondo l’IPCC, entro 35 anni, l’agricoltura potrebbe subire un calo di resa del 50%, compromettendo la sopravvivenza umana. Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori: “Tra perdita di prodotto diretto e danni da ripristino, nell’ultimo triennio i cambiamenti climatici sono costati al settore agricolo 1,5 miliardi di euro”.
Ovviamente aumenterà chi nel mondo scappa dalla mancanza di cibo e dai conflitti per le risorse. Rischiamo un drammatico aumento dei flussi migratori. Già oggi, di oltre 32 milioni di persone costrette alla mobilità per effetto di disastri naturali, il 98% sono profughi climatici provenienti da paesi poveri. Nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici.
E in tutto ciò quale sarà il contributo del governo italiano nella lotta per la prosecuzione della vita umana sulla Terra? Conoscendo i nostri polli, pressoché nullo. Dal governo Berlusconi fino a quello Renzi, questo Paese si è distinto nel mondo tra i peggiori per l’indifferenza ai cambiamenti climatici e per il sistema economico industriale che ha portato a questo livello di rischio per il Paese.
Non è un caso se l’Ispra, nell’Inventario nazionale delle emissioni di gas serra del 2012, ha certificato il fallimento del nostro Paese sugli obiettivi di Kyoto. Nel quinquennio 2008-2012, dovevamo ridurre le emissioni medie del 6,5% rispetto ai valori registrati nel 1990, e invece ci siamo fermati a una riduzione del 4,6%.
E’ vero, il governo italiano, al momento, a livello internazionale non conta praticamente nulla. Lo abbiamo visto in diversi casi. Allo stesso modo, le emissioni di gas serra del nostro Paese, rispetto a quelle globali o di altre nazioni ben più grandi della nostra, sono solo una piccola percentuale.
Perché, quindi, dovremmo impegnarci per ridurle?
Da una parte, perché il clima è un bene comune, e anche la più piccola azione si somma a tutte le altre. Il cambiamento parte dal basso, dagli stili di vita, e i grandi processi globali sono la somma dei nostri gesti quotidiani. Non ha quindi senso, oltre a non essere giusto, pensare di potere scaricare la propria responsabilità sul fatto che la mia azione individuale è irrilevante, nel quadro generale.
Dall’altra, perché combattere il cambiamento climatico ha ripercussioni positive anche a livello locale (e quindi sulla vita del singolo individuo): significa infatti lavorare per preservare la salute dei cittadini, evitare le enormi perdite economiche che si rischiano (soprattutto a livello agricolo), ridurre i rischi di devastazioni che, anche solo a livello infrastrutturale, costano alla collettività miliardi di euro ogni anno.
“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, diceva Gandhi. Bene, il clima impazzito ci dà modo di mettere in pratica questa massima, così vera e utile nella sua semplicità. Perché non c’è più tempo. Siamo arrivati al limite, e in parte abbiamo già messo un piede al di là dello stesso.
Dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Adesso. Prima di essere sopraffatti dal cambiamento che è comunque già in corso!