IL SETTIMO CONTINENTE: Strategie di sopravvivenza ambientale
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Molti di voi ne hanno già sentito parlare, per alcuni sarà una sorpresa, ma nell’insieme credo si tratti di una di quelle notizie che dovrebbero far saltare tutti dalla sedia!
Stiamo parlando di quella vasta area compresa fra le Hawaii e la California che per molti è diventato il settimo continente, o anche il continente di plastica o più realisticamente la più grande discarica galleggiante del mondo.
La zuppa di plastica, come venne definita dall’oceanografo americano Charles Moore nel 1997 è l’insieme dei rifiuti scaricati in mare, che secondo l’ONU hanno formato una sorta di nuovo continente esteso su 3,4 milioni di chilometri quadrati, ad un ritmo di 5 milioni di pezzi di plastica al giorno, che raggiungerebbe spessori di circa 30 metri.
E’ uno dei regalini che il nostro sistema produttivo ci ha fatto per ricordarci delle nostre abitudini di uso e consumo irresponsabile di beni e risorse. Fortunatamente in questi ultimi anni si sta svegliando una sorta di coscienza ambientale globale che ha ben presente i danni commessi dal principio della crescita infinita e dalla pessima gestione dei prodotti di scarto del sistema stesso.
Mi viene in mente il monologo di Beppe Grillo, agli inizi degli anni ‘90, nel quale si faceva riferimento al famoso spazzolino che una volta gettato avremmo rivisto però sotto forma di branzino!
Stando alle ricerche effettuate, il nostro continente di bottiglie, reti, spazzolini e imballaggi di ogni genere si trasformerebbe in pezzetti sempre più piccoli pronti per avvelenare cetacei, uccelli, e pesci tutto a discapito del nostro ecosistema.
Questa premessa non può che indurci ad individuare delle strategie per la soluzione del problema che a nostro avviso passa per un’azione preventiva, ossia nel campo della produzione stessa del rifiuto.
Per ridurre i rifiuti che produciamo possiamo agire attraverso tre sfere d’influenza principali:
I consumatori possono ad esempio scegliere di acquistare prodotti con minori imballaggi o meglio ancora alla spina con contenitori riusabili. Posso anche scegliere prodotti dalla garanzia prolungata oppure con marchi di certificazione ecologica.
I produttori possono minimizzare Il rifiuto prodotto utilizzando il più possibile materie prime (seconde) provenienti da riciclaggio. Ma anche producendo beni più durevoli, riparabili e facilmente smontabili e separabili nei loro componenti nel momento in cui diventano rifiuti.
La politica deve favorire questo processo. I cittadini devono essere informati delle conseguenze ambientali ed economiche nonchè sui danni alla salute umana possibilmente dovuti ai loro acquisti. A diversi acquisti, infatti, corrispondono diversi quantitativi di rifiuti prodotti e una diversa possibilità di riuso e riciclo, con conseguenze ambientali e spreco di risorse naturali necessarie alle nuove produzione.
Una soluzione per l’industria potrebbe derivare dall’inclusione degli aspetti ambientali già nella fase di progetto. ECO-design e analisi di ciclo di vita (LCA) sono le parole chiave di questo processo.
Dobbiamo progettare tenendo in conto del ciclo di vita dei prodotti; cosa significa?
Ogni prodotto attraversa diverse fasi prima di arrivare nelle nostre mani e ne attraversa ulteriori dopo che ha smesso di esserci utile.
Per prima cosa si estraggono le materie prime naturali necessarie alla sua produzione (minerali, risorse fossili, etc.) con queste si realizzano prodotti intermedi e infine il prodotto finale di nostro interesse. A questo si uniscono trasporti e impacchettamento.
Si passa poi nelle nostre mani (fase d’uso) dopodiché, una volta diventato inutile, ci disfiamo del prodotto (fine vita). A questo punto ci sono essenzialmente tre possibilità: il riuso con o senza preparazione (es. bottiglie di vetro lavate), il riciclo e, per la parte che non rientra nelle precedenti, lo smaltimento (inceneritori e discariche principalmente).
Ciascuna di queste fasi ha ovviamente delle ripercussioni ambientali, economiche e sanitarie.
La politica dovrebbe facilitare questo processo di riconversione. Per esempio attraverso incentivazioni agli acquisti di prodotti a minore impatto ambientale (i cosiddetti acquisti verdi), oppure attraverso politiche fiscali che premiano i prodotti migliori, e proprio su questo aspetto stiamo lavorando in sede legislativa.
Per andare in questa direzione occorre infatti introdurre nel nostro ordinamento della norme che disciplinino una sorta di etichettatura ambientale dei prodotti: etichette in grado di descrivere in maniera semplice ed immediata gli impatti dei prodotti al fine di guidare e condizionare il comportamento dei consumatori.Un processo produttivo virtuoso in termini di impatto ambientale dovrà essere parte integrante della qualità o meno del prodotto, e se il metodo funziona dovrebbe anche costare meno!
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