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In un mondo in cui interessi economici e multinazionali la fanno da padrone lottare per la terra, gli animali e il bene comune è un affare davvero rischioso. Secondo l’organizzazione internazionale non governativa Global Witness, ogni settimana almeno due persone vengono uccise per aver preso una posizione contro la distruzione dell’ambiente. Alcuni sono uccisi dalla polizia durante le proteste, altri ucciso da sicari. Mentre le aziende vanno alla ricerca di nuove terre da sfruttare, sempre più persone stanno pagando il prezzo più alto: la loro vita.

L’Honduras è il paese più pericoloso per questi attivisti, con il più alto numero di omicidi pro capite per la difesa dell’ambiente negli ultimi cinque anni. Gli Honduregni hanno visto la morte di 111 attivisti ambientali dal 2012 al 2014. Nel conflitto nella Valle di Aguán del Bajo hanno perso la vita 93 contadini fino al 2013, che avevano avuto controversie con la società honduregna Dinant, produttore di olio di palma, e le sue forze di sicurezza private.

Solo nel 2016 il Paese ha visto prima l’uccisione di Berta Caceres, coordinatrice del Consiglio dei popoli indigeni dell’Honduras (COPINH), e poi quella di Nelson Garcia. Garcia aveva 38 anni e apparteneva al Copinh, l’organizzazione cofondata negli anni Novanta dalla stessa Berta Caceres per difendere i diritti degli indigeni dell’Honduras. È stato ucciso da non meglio identificati uomini armati mentre tornava a casa da un sit-in contro lo sfratto di decine di famiglie del Rio Chiquito da parte di forze di polizia ed esercito.

La sua morte offre l’ennesima, triste conferma alle statistiche che descrivono il Paese centroamericano come il più pericoloso al mondo per gli ambientalisti: neppure l’ondata di sdegno e le mobilitazioni suscitate dall’omicidio di un personaggio di fama globale come Berta Caceres sono riuscite a fermare la mano dei killer che, purtroppo, agiscono quasi sempre nella certezza dell’impunità. Basti pensare che negli ultimi dieci anni solo l’uno per cento dei crimini registrati sono stati processati e condannati.

Ma l’elenco degli ambientalisti uccisi non si ferma qui. Le Statistiche pubblicate dalla ONG nel report “Quanti ancora?” mostrano che nel 2014 sono stati uccisi 116 difensori del territorio e dell’ambiente in 17 paesi al mondo. Uno scioccante 40% delle vittime erano indigeni, coinvolti in dispute su energia idroelettrica, estrazione mineraria e agro-business. Quasi tre quarti dei decessi hanno riguardato il Centro e Sud America. Ma a livello globale la situazione non è migliore, anzi. Molti degli omicidi però si verificano in villaggi remoti o nella giungla, dove le comunità locali spesso non hanno accesso alle comunicazioni e ai media e dove spesso è impossibile denunciare.

E’ una lotta sfiancante, di cui è impossibile capire le implicazioni se non la si vive dall’interno. Ma per questo non dobbiamo girarci dall’altra parte. Quotidianamente possiamo scegliere da che parte stare e decidere di non chiudere gli occhi su tutto questo.

“Donare la nostra vita per la protezione dei nostri fiumi significa donarla per il benessere dell’umanità e del nostro Pianeta” Berta Caceres.

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