0Shares
0 0 0

Naomi Klein Roma: l’evento per la presentazione dell’ultimo libro dell’attivista d’oltreoceano si terrà oggi, 4 febbraio 2015, alle 17.30, all’auditorium Santa Croce di via Statilia al civico 15.

Nell’attesa voglia raccontarvi in anteprima una storia triste ma efficace per comprendere l’impatto del cambiamento climatico sulle nostre vite e quanto l’equilibrio delle risorse naturali che sfruttiamo sia delicato e prezioso.

La vicenda è accaduta davvero e ho avuto il piacere di leggerla in anteprima sfogliando l’edizione inglese di “Una rivoluzione ci salverà” (titolo originale: This changes everything. Capitalism vs. the climate), libro che appunto la Klein presenterà tra poco qui a Roma.

Nauru è un’isola di appena 22 chilometri quadrati situata in Oceania.

La sua condizione di stato insulare e le sue dimensioni ridotte ci fanno già capire come le vicende legate all’antropizzazione del luogo possano essere prese a paradigma di ciò che potrebbe accadere all’intera comunità umana.

Anche a Nauru infatti è arrivata una nuova era, l’Antropocene: il dominio assoluto dell’essere umano e della sua tecnologia artificiale sulla Natura.

E l’ingordigia della popolazione ha accecato anche chi riteneva possibile un futuro sostenibile, tanto che ora i residenti, alla stregua di quanto capitato molto tempo prima agli abitanti dell’Isola di Pasqua, potrebbero essere costretti a spostarsi e, nella migliore delle ipotesi, a essere accolti in nuovi Stati come migranti climatici.

Ma andiamo per ordine…

Come molte isole del Pacifico meridionale, Nauru fu colonizzata da uno Stato europeo nel Diciannovesimo secolo, per la precisione dall’allora Impero tedesco.

In quel periodo, l’australiano Albert Fuller Ellis scoprì che Nauru, oltre a essere una delle tante piacevoli isole della Micronesia, nascondeva nelle sue profondità un “cuore” di fosfato, ampiamente usato in agricoltura come componente essenziale di fertilizzanti e mangimi.

Così, dopo aver stipulato un accordo con l’amministrazione tedesca, Ellis iniziò un’attività di estrazione mineraria di fosfati di prima qualità nel 1906.

BAU: business as usual, no?

Con gli sconvolgimenti della prima e della seconda guerra mondiale (che vi risparmio), anche i preziosi fosfati di Nauru passarono di mano in mano finché nel 1968 l’isola ottenne la sua indipendenza e gli abitanti divennero i reali proprietari di tutti i beni comuni del luogo, tra cui il fosfato.

Questo significa che Nauru divenne uno degli Stati più ricchi dell’isola nel Pacifico meridionale, grazie a 43 milioni di tonnellate di fosfati esportati (per un importo di 3,6 miliardi di dollari australiani) tra il 1968 e il 2002 e pur essendo il secondo Stato più piccolo al mondo dopo il Vaticano.

Lieto fine per Nauru?

Neanche per sogno.

Oltre ai fosfati, nell’isola c’erano pochissime risorse autoctone.

Incuranti del km zero e di un po’ di sana decrescita felice, i ricchissimi abitanti dell’isola adottarono uno stile di vita over-size, importando e consumando l’impossibile.

Tanto che, senza tanti peli sulla lingua, il quotidiano inglese The Indipendent chiamò Nauru “l’isola del grasso“, a causa dell’alta percentuale di persone obese.

Oltre il 40% della popolazione era affetta da diabete di tipo 2, tumori, malattie cardiache e renali.

A km zero a Nauru avreste potuto mangiare pesce, noci di cocco, radici e verdure: chi di noi l’avrebbe fatto per salvare l’ambiente e la vostra stessa vita?

Come se non bastasse, negli anni 80 del secolo scorso, Nauru ebbe un tracollo finanziario.

I conti bancari degli abitanti erano tutti in Australia, semplicemente perché nell’isola c’era una sola Banca nazionale però insolvente.

Nel mese di ottobre 2014, un tribunale australiano stabilì che Nauru doveva 16 milioni di dollari australiani a un fondo di investimento statunitense, che aveva prestato il denaro al governo della piccola isola.

Il debito, non rimborsato, salì a breve a 31 milioni di dollari australiani.

Cosa sarebbe potuto accadere in un territorio in cui non vi è nemmeno disponibilità di acqua fresca, poiché l’acqua di mare è pompata e dissalata, con dispendio di molta energia, per garantirne l’uso umano?

Per fortuna, Nauru ha vinto una causa in tribunale e al momento non ha dovuto rimborsare l’enorme debito.

Ma rimane il fatto che si tratta un luogo in cui vi sono poche alternative di vita sostenibili allo sfruttamento nel settore minerario dei fosfati, almeno per come concepiamo noi occidentali uno standard ottimale di comfort!

Ecco che chi di finanza creativa sta per perire, di finanza creativa cerca di vivere…

Arriviamo così agli anni Novanta del secolo scorso, in cui Nauru diviene un paradiso fiscale nella lista dei 15 paesi che non cooperano nella lotta contro il riciclaggio di denaro.

Nel 2003, il governo di Nauru introduce una legislazione anti-evasione e i capitali stranieri di dubbia provenienza lasciano l’isola.

L’isola inizia allora a vivere un difficile rapporto con il suo ex “padrone”, l’Australia, che fornisce aiuti e, al tempo stesso, viene citato in giudizio in qualità di responsabile di una ingente parte dell’estrazione selvaggia che ha portato Nauru all’esaurimento delle sue stesse risorse ambientali.

Nel difficile equilibrio con l’Australia e internazionale, Nauru attualmente si trova a gestire anche l’arrivo di profughi del cambiamento climatico.

Aggiungo che esiste anche dal 2001 un centro gestito dal governo australiano, che può ospitare fino a 616 rifugiati e migranti che hanno fatto richiesta di asilo politico.

La gestione di tale centro è stata però definita da Amnesty International “una catastrofe umanitaria”.

Questo mix esplosivo è concentrato  in un’isola con poco spazio per coltivare cibo, senza acqua potabile autoctona e con risorse ambientali ormai in esaurimento.

Un giorno gli stessi 10mila abitanti potrebbero trasformarsi in altrettanti migranti climatici!

 

Naomi Klein Roma: presentazione del libro “Una rivoluzione ci salverà” (Rizzoli)

(titolo originale: This changes everythging. Capitalism vs. the climate)

Oggi 4 febbraio 2015, ore 17.30, Auditorium Santa Croce, Via Statilia 15

0Shares
0 0 0

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Previous post

Riciclo acqua sporca. Ok ma...

Next post

TTIP Nafta: quali legami?