0Shares

Nel solo 2014, sono state quasi 20 milioni le persone costrette ad abbandonare le loro case dopo calamità naturali spesso legate ai cambiamenti climatici. Lo rivela una ricerca del Consiglio norvegese per i rifugiati, che ha pubblicato il rapporto “Global Estimates 2015 – People Displaced by Disasters”. E pensare che il governo italiano, invece, nella nostra Mozione sui cambiamenti climatici non ha accettato la definizione di “profughi climatici”.

In questo periodo si parla giustamente molto dei profughi e dei rifugiati che fuggono dalla guerra. Sotto la lente dei media internazionali, in realtà già pronti a seguire in blocco il prossimo argomento che farà fare più audience, ci sono soprattutto le persone provenienti dalla Siria, paese sconvolto da una guerra causata in gran parte dai giochi di potere fra le grandi potenze economico-politche del pianeta.

Ma attenzione, perché non c’è solo la guerra. E se c’è questa può essere causata da un’altra piaga globale: il climate change. Secondo il Global Estimates 2015, questa moltitudine di persone fugge da calamità naturali e sconvolgimenti meteorologici che, come ormai la scienza conferma quasi all’unanimità, sono in gran parte dovuti ai cambiamenti climatici dovuti alle attività dell’essere umano.

Abbiamo sentito parlare molto degli uragani negli Usa, dove decine di migliaia di persone sono ancora costrette a vivere in condizioni provvisorie. Ma le decine di migliaia diventano milioni, quando invece si prendono in considerazione i paesi in via di sviluppo, e in particolare quelli asiatici: i più colpiti in assoluto da questi fenomeni.

Da lì, infatti, secondo la ricerca è partito lo scorso anno il 90% dei 19,3 milioni di profughi climatici globali. Perché dico profughi climatici? Perché di questi, poco più di un milione e mezzo ha dovuto migrare in seguito ad eventi legati alla geologia. Il resto, cioè la stragrande maggioranza, a causa di eventi meteorologici.

Secondo il rapporto del Consiglio per i rifugiati norvegese, dal 2008 sono in media 26,4 milioni le persone che migrano ogni anno a causa delle calamità naturali: sono più di 72mila ogni singolo giorno! Un numero che, secondo gli analisti, è destinato a crescere nel lungo termine.

“Il problema dei profughi legati alle catastrofi minaccia di peggiorare nei prossimi decenni”, spiega su Rinnovabili.it il direttore dell’Internal Displacement Monitoring Centre del Consiglio, Alfredo Zamudio: “La nostra analisi storica rivela che oggi vi è il 60% di probabilità in più di essere costretto a emigrare a causa delle calamità rispetto al 1970. Il cambiamento climatico è destinato a svolgere un ruolo forte in futuro, aumentando la frequenza e l’intensità di tali pericoli”.

Le immagini che vediamo in questi giorni al telegiornale sono destinate a continuare a lungo, insomma. Anche a causa di guerre che, ricordiamolo, sono spesso causate dai tentativi di accaparrarsi le ultime risorse rimaste in seguito a un eccessivo sfruttamento o, appunto, al cambiamento del clima rispetto ai secoli passati.

Guerre per il potere, quindi. Ma anche guerre per l’acqua, la terra, il deserto che avanza, l’agricoltura che annaspa.

E pensare che sarebbe tutto risolvibile, o migliorabile, se solo ci fosse un minimo di buona volontà. Politica, ma non solo. Perché nessun politico che predica bene e razzola male può impedirci di cambiare un po’ le nostre abitudini, i nostri stili di vita, i trasporti che scegliamo di usare, le diete che decidiamo di seguire.

 

0Shares
Previous post

La carne distrugge la biodiversità

Next post

Contro l’acqua il TTIP perde