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Ad oggi in Italia sono sorti impianti energetici alimentati a biomasse e biogas in oltre 1400 comuni, per una potenza efficiente lorda totale di oltre 3,8 giga watt alla fine del 2012 (fonte: GSE), più che raddoppiata dal 2008.
Gli impianti sono di varia natura e potenza elettrica nominale, in maggioranza di 0.99 mega watt, alimentati da biomasse, in particolare biogas da mais o altri insilati mescolati in varia percentuale con reflui zootecnici e in minor misura da biomasse legnose, scarti di macello, olio o altro materiale.
Gli impianti a biomasse e biogas sono caratterizzati da significativo impatto ambientale: emissioni di circa 10 tonnellate annue di ossidi di azoto (NOx) in atmosfera per un impianto a biogas da 1 MW di energia di picco (30 tonnellate di NOx per analogo impianto a biomasse legnose), emissioni importanti di ossidi di zolfo (SOx) e altri gas con i noti effetti sull’incremento del particolato secondario (PM2.5 in particolare), senza contare le emissioni dirette ed indirette legate a produzione agricola, irrigazione, trasporto dei materiali, spandimento dei digestati nel caso del biogas, rischio di depauperamento dei suoli agricoli che dovranno accogliere il digestato ricco di azoto e povero di carbonio e il rischio di peggioramento dell’eutrofizzazione delle falde acquifere.
Inoltre molti degli impianti sorti negli ultimi 4 anni non utilizzano reflui ma colture dedicate, sottratte al consumo alimentare umano e animale con un consumo di territorio di 400 ettari per ogni mega watt di energia (impianti a biogas, di solito basati sulla digestione anaerobica del mais, per la maggiore resa energetica rispetto a letame o altri reflui).
Anche gli impianti che utilizzano biomasse legnose spesso impiegano materia prima proveniente dall’estero, ricadendo nella spirale della dipendenza da altri Stati e incrementando i costi economici e ambientali legati al trasporto e alla gestione della materia prima.
Il bilancio economico di molti impianti a biomasse e biogas sarebbe in molti casi negativo in mancanza degli incentivi statali e questo deve suggerire cautela in merito alla prosecuzione degli incentivi senza dare ordine al settore.

Le procedure autorizzate per tale tipologia di impianti non tengono nella debita considerazione l’adozione di criteri di sostenibilità ambientale ed energetica calcolabili mediante indicatori che considerino il ciclo vita delle produzioni energetiche (EROI, LCA). Non tengono inoltre in considerazione l’influenza della potenza (dimensione) dell’impianto, la distanza minima dai centri abitati con annessi parametri dell’impatto odorigeno sui cittadini, le emissioni inquinanti totali verso atmosfera, suolo (digestato o altro refluo), acque superficiali e di falda, così come la gestione dei nitrati.
Non è stato preso in considerazione che l’utilizzo di colture dedicate è legato a fenomeni emissivi diretti, dovuti alla produzione agricola, ed indiretti, emissioni associate al cambiamento indiretto della destinazione dei terreni (ad esempio emissioni da mais ad uso alimentare prodotto in sostituzione di quello impiegato ad uso energetico).
Un’azienda agricola di medie-grandi dimensioni può produrre reflui che possono alimentare un impianto della potenza di circa 0.05 mega watt di energia, a differenza degli impianti che stanno sorgendo su tutto il territorio nazionale con finalità, secondo i firmatari, speculative, in aziende che non si autoalimentano da reflui e che hanno percentuale energetica inferiore al 5 per cento di autoconsumo;
La legislazione attuale è flessibile in merito alla sostituzione delle materie prime in entrata: il mais da immettere nei digestori (in caso per esempio di costi eccessivi) può essere rimpiazzato da rifiuto urbano o scarti di macelleria con incremento delle sostanze tossiche emesse in impianti che, peraltro, sorgono anche a poche decine di metri dalle abitazioni ed in molti casi non prevedono il riutilizzo dell’energia termica (cogenerazione) in percentuale significativa.

 

Chiediamo l’impegno del Governo:

 

ad adottare iniziative volte a verificare, anche attraverso ispezioni, nei limiti delle proprie competenze, gli impianti a biomassa già operanti sul territorio nazionale affinché essi non producano inquinamento dell’aria, dei suoli (chimico e biologico), acustico, odorigeno e dell’acqua di falda con particolare riferimento alle zona abitate ricomprese nel raggio di 3 chilometri da ciascun impianto, alla movimentazione dei materiali in entrata e in uscita dagli impianti e con particolare riferimento alle fonti di finanziamento delle società di gestione degli impianti.
ad esercitare l’attività di monitoraggio sulla corretta applicazione delle «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» di cui al decreto ministeriale Sviluppo economico del 10 settembre 2010, con specifico riferimento all’individuazione di aree non idonee alla realizzazione di impianti a biomasse affinché le autorizzazioni all’esercizio degli impianti a biomassa rilasciate dalla regione o dalla provincia delegata siano state assunte nel rispetto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, della valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, della tutela della biodiversità e del patrimonio culturale e del paesaggio rurale;
a verificare, sui medesimi presupposti normativi sopra richiamati che le regioni e le province autonome abbiano proceduto prioritariamente all’individuazione delle aree non idonee alla installazione di specifiche tipologie di impianti sulla base dei criteri tecnici oggettivi legati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale;
ad intervenire con le opportune iniziative normative ed amministrative affinché, quale espressione di principi fondamentali dello Stato, siano emanate nuove «Linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione per i nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili», e sia disposta la parziale o totale modifica del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/Ce relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, con l’obiettivo di prevedere che non vengano realizzati impianti a biogas o biomasse di qualsiasi potenza nei comuni dove già ne sussistano, che gli impianti autorizzati abbiano una potenza massima 0.1 mega watt, che siano utilizzati reflui per oltre il 90 per cento, che sia garantito il monitoraggio precedente e successivo alla realizzazione degli impianti sia della qualità dell’aria nel raggio di 3 chilometri (a varie distanze) dall’impianto, sia della qualità dei suoli alla luce della potenziale presenza di contaminanti chimici e biologici), sia della qualità dell’acqua di falda attraverso il rispetto della distanza minima di 2.5 chilometri dai centri abitati e che siano autorizzati impianti solo in aree dove un ipotetico piano energetico locale individui necessità energetiche locali non soddisfatte da altre fonti rinnovabili meno impattanti.

Trovate la versione integrale sul sito della camera:

Cliccate qui per la versione integrale sul sito della camera.

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1 Comment

  1. Flavio Ranalli
    20 Giugno, 2013 at 13:30 — Rispondi

    Sarebbe anche da rimarcare il fatto che utilizzando tantissimo mais di conseguenza viene utilizzata tantissima acqua che potrebbe essere utilizzata direttamente in turbine distribuite opportunamente nell’ estesissima rete di irrigazione dei vari consorzi,con un impatto ambientale bassissimo e con rendimenti superiori senza contare che l’ acqua che attraversa le turbine è nuovamente e immediatamente disponibile

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