Telelavoro: salvare l’ambiente lavorando da casa
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“Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita”. Questa frase di Confucio sta a dimostrare come da sempre un lavoro piacevole sia ritenuto fondamentale per una buona qualità della vita. Credere in ciò che si fa e amare il proprio lavoro sono prerequisiti fondamentali per aiutarci a sopportare la fatica di una vita stressante e con ritmi frenetici.
Tuttavia, dando per scontato di aver avuto la possibilità di svolgere il lavoro desiderato, la motivazione e la passione si scontrano spesso con le modalità e le condizioni del lavoro. Lo ‘stress lavoro correlato’, come dimostrano anche recenti ricerche, è una condizione che interessa in Europa circa un lavoratore su quattro, circa 40 milioni di lavoratori, con conseguenze pesanti per la vita personale e lavorativa. Oltre a tutte le implicazioni sulla qualità della vita e il benessere individuale, gli effetti dello stress ricadono anche sotto forma di costo sociale e sanitario; la percentuale di giornate lavorative perse arriva infatti ad essere addirittura del 60% e un conseguente costo che si aggira attorno ai 20 miliardi di euro.
Lavorare male, insomma porta effetti sociali ed economici importanti. Ma è possibile lavorare meglio?
È un dato di fatto che il progresso tecnologico ha trasformato profondamente il panorama lavorativo dei paesi sviluppati come il nostro. Il lavoro è diventato prevalentemente intellettuale e le macchine hanno sostituito in tanti ambiti il lavoro fisico dell’uomo. Eppure l’organizzazione del lavoro e la cultura sindacale hanno faticato a seguire questo progresso rifacendosi ancora al vecchio modello organizzativo di stampo taylorista-fordista per effetto del quale viene considerata imprescindibile la presenza fisica sul luogo di lavoro per almeno otto ore al giorno.
Da una ricerca statistica effettuata dalla FIASO (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) su un campione di 65 mila dipendenti di alcune aziende pubbliche del settore sanitario, è emerso che, a seguito dell’adozione di una serie di misure volte all’introduzione di orari di lavoro più flessibili, il numero dei lavoratori stressati è sceso dal 25% sotto la soglia del 10% e le assenze per malattia si sono ridotte di circa un terzo. Dopo l’adozione di detti provvedimenti nelle aziende sanitarie sottoposte al test, oltre il 77% dei dipendenti, dai medici agli infermieri, dai tecnici agli impiegati, ha dichiarato di stare benissimo da un punto di vista psicologico.
Secondo gli studi del politecnico di Milano, telelavoro, uso di dispositivi mobili per la comunicazione e flessibilità degli orari non abbatterebbero solo lo stress da lavoro, ma migliorerebbero anche la produttività. In termini economici si stima una crescita di 27 miliardi all’anno di produttività e una diminuzione di 10 miliardi all’anno sui costi fissi.
l’Italia appare in ritardo: riguardo al telelavoro si posiziona al venticinquesimo posto su 27 Nazioni europee nell’ultima classifica UE (2005), ma ancora oggi, mentre il resto d’Europa risale la china (in Norvegia, dal 2003 al 2007, sono raddoppiate le aziende che permettono il telelavoro) il nostro Paese non si muove. Si avverte pertanto l’esigenza di assicurare una proposta legislativa adeguata al cambiamento avvenuto, capace di offrire forme di flessibilità dei tempi e dei luoghi di lavoro.
Se il Jobs Act rappresenta una mancata opportunità anche in tema di conciliazione vita – lavoro, e una sorta di incapacità di stare al passo con i tempi, la proposta di legge del M5S, a prima firma Tiziana Ciprini, va nella direzione di un cambiamento culturale ormai in atto. Introduce infatti la possibilità per il lavoratore di determinare liberamente l’inizio e il termine dell’orario di lavoro per lo svolgimento della prestazione lavorativa nell’ambito di una fascia di presenza obbligatoria, nel rispetto dell’organizzazione aziendale e delle esigenze produttive. Introduce la c.d. “banca ore” che permette all’impresa, ferma restando la retribuzione mensile, di utilizzare il lavoratore in modo variabile ed a seconda delle esigenze produttive nell’ambito di archi temporali predefiniti, e al lavoratore di godere di periodi da utilizzare per esigenze personali. Si introduce inoltre il c.d. “smart working”, concedendo di fatto, previo accordo tra le parti, la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, quindi, in assenza dell’obbligo di utilizzare una postazione fissa durante i periodi di lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti telematici.
L’idea che ritmi lavorativi frenetici danneggino la produttività e l’equilibrio individuale è anche alla base del pensiero di Larry Page, numero uno di Google e di Richard Branson, fondatore della Virgin, che lo hanno tradotto nelle loro politiche aziendali. “Per essere felici si deve lavorare meno” aveva annunciato un anno fa il fondatore di Google. E ancora “l’idea che tutti debbano lavorare freneticamente è semplicemente non vera”, perché essere impegnati per più ore al giorno nel lavoro senza sosta a discapito di tutto il resto rovina l’equilibrio individuale. Perfettamente in sintonia con questo pensiero è Richard Branson, fondatore e numero uno dell’impero Virgin. Noto per le sue idee imprenditoriali innovative e stravaganti, Branson è dell’idea che “una persona felice lavora meglio” e “contano i risultati, non le ore che passi in ufficio”. Così è passato dalle parole ai fatti: per i suoi dipendenti ha abolito l’orario di lavoro. Ciò comprende la possibilità per i dipendenti di assentarsi per “un’ora al giorno, una settimana o un mese, senza che nessuno faccia domande”. L’importante è che alla fine i progetti affidati a ognuno siano portati a termine con successo.
Ma, oltre a comportare aumento della produttività e riduzione di stress ed assenteismo, il telelavoro offre una grande opportunità nel combattere l’inquinamento e il riscaldamento globale, temi al centro del dibattito di questi giorni della Cop21 (Conferenza mondiale sul clima). Le tecnologie informatiche offrono infatti la possibilità di lavorare da casa e ciò significa meno automobili in circolazione e, quindi, meno emissioni di CO2. Ciò ha valore soprattutto se riferito all’Italia, dove la cattiva abitudine di circolare con automobili private aumenta durante la stagione invernale per via dell’abbassamento della temperatura.
Quella del telelavoro è tra l’altro una soluzione già adottata in altri Paesi, come l’America. Nella Contea di Los Angeles, infatti, è bastato un lieve incremento del telelavoro per portare ad una importante riduzione dell’inquinamento. La Contea di Los Angeles sperimentava il telelavoro già nel febbraio 1994, quando l’Amministrazione comunale decise di far telelavorare 15.000 dei 45.000 dipendenti. Oltre al miglioramento della qualità dell’ambiente i risultati furono un risparmio energetico di 60 Mega Kwh/anno, minori spese pari a 6.000 $/anno per lavoratore, riduzione del 30% degli spazi per uffici e parcheggi, risparmio di 200.000 $ a seguito della riduzione del turn over.
Tornando al caso italiano, secondo uno studio effettuato dal Politecnico di Milano, l’introduzione di efficienti misure energetiche porterebbe un risparmio annuo a regime di emissioni di CO2, calcolato sulla base della riduzione dei consumi finali di energia, di 72 milioni di tonnellate a fronte di un volume di affari complessivo di 512 miliardi di euro.
Il ruolo che gioca il telelavoro nella riduzione di emissioni di Co2 e nella difesa dell’ecosistema è quindi incontestabile e funzionale alla pianificazione di un futuro sostenibile. Faremo perciò del nostro meglio per trasformare questi progetti in realtà anche in Italia.