I leader politici di tutto il mondo, adesso persino quelli cinesi e americani, a sentirli parlare sembrano tutti d’accordo: l’aumento medio della temperatura globale causato dalle emissioni di gas serra non deve superare i 2°C al di sopra della temperatura media globale dell’era pre-industriale.
Oltre quell’aumento di temperatura, infatti, il mondo per come lo conosciamo non potrebbe più esistere, perché tutti gli ecosistemi verrebbero scossi alla base, e le carte geografiche andrebbero ridisegnate.
Tutti d’accordo, però, anche nel non fare seguire delle azioni concrete a queste belle parole.
È stato stimato che per avere anche solo la metà delle possibilità di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C per tutto il ventunesimo secolo, le emissioni cumulative di carbonio tra il 2011 e il 2050 dovrebbero essere limitate a circa 1.100 miliardi di tonnellate.
Le emissioni di gas serra, secondo le stime attuali riguardanti le riserve globali di combustibili fossili (quelle nascoste sotto l’Artico in primis), sono però circa tre volte superiori alla quantità da ridurre.
In sostanza: l’uso senza sosta di tutte le attuali riserve di combustibili fossili è incompatibile con un limite di riscaldamento di 2°C.
A rivelarlo è una recente ricerca pubblicata su Nature, i cui risultati suggeriscono una cosa: a livello globale, un terzo delle attuali riserve di petrolio, la metà di quelle di gas e oltre l’80 per cento di quelle di carbone dovrebbero rimanere inutilizzati fino al 2050 (e in teoria dal 2010), per raggiungere appunto l’obiettivo dei 2°C di cui straparlano i grandi statisti del mondo industrializzato.
“I nostri risultati mostrano che l’istinto dei politici di sfruttare rapidamente e completamente le riserve fossili dei loro territori sono, in forma aggregata, in contrasto con gli impegni assunti a livello di mitigazione del cambiamento climatico”, scrivono i ricercatori su Nature: “L’attuazione di questo impegno politico renderebbe inoltre inutile la continua spesa per l’esplorazione di combustibili fossili, perché tutte le nuove scoperte non potrebbero portare a un aumento della produzione aggregata”.
Sì, perché di questo passo per estrarre petrolio, gas o carbone ci vorrà più energia di quella che si ottiene.
Non solo, se si parla di economia, il continuo aumento di CO2 in atmosfera potrebbe compromettere quella di intere nazioni.
E soprattutto ha costi che superano di gran lunga le previsioni.
Il governo Usa, ad esempio, risaputamente in mano alle lobby fossili (sì, anche con il “verde” Obama), ha calcolato che, per ogni tonnellata aggiuntiva di CO2 emessa nel 2015, i danni economici dovuti a minore produzione agricola, riparazioni delle infrastrutture, effetti sula salute ecc. saranno di 37 dollari.
Un’altra ricerca (pubblicata anch’essa su Nature) della Stanford University, li quantifica invece in ben 220 dollari: quasi sei volte di più.
Perché i ricercatori della Stanford sono riusciti a ottenere risultati così diversi da quelli del governo di Washington?
Da una parte perché non hanno bisogno di finanziamenti “fossili” per le loro permanenti campagne elettorali; dall’altra perché, per la loro ricerca, hanno preso in considerazione e inserito nei calcoli anche i risultati di numerosi e più recenti studi.
Che, appunto, ci stanno continuando a comunicare che pagheremo molto cara la stupida inattività umana nella sfida climatica.
La pagheremo letteralmente, e in tutti i sensi.
Sempre vostro, Mirko Busto
1 Comment
[…] Troppa CO2 in atmosfera ci costerà cara sembra essere il primo su Mirko Busto […]